Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2014 alle ore 06:38.

My24


Annamaria Fiorillo - il pm del Tribunale dei minori di Milano che non autorizzò i funzionari della Questura di Milano ad affidare Ruby a Nicole Minetti la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 a seguito della telefonata di Silvio Berlusconi - è stata assolta dall'accusa di violazione del dovere di riserbo per aver ristabilito la verità dei fatti, ricorrendo alla comunicazione mediatica, di fronte alla falsa ricostruzione dell'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni. Quest'ultimo, il 9 novembre 2010 si era presentato al Senato sostenendo (in diretta tv) che l'affidamento era stato effettuato «sulla base delle indicazioni del magistrato». Non era vero. Fiorillo reagì: per tutelare l'onore suo e della magistratura, oltre che la verità storica, si rivolse al procuratore capo e scrisse al Csm. Ma nel silenzio generale decise anche di usare la comunicazione mediatica, con sobrietà e misura. Non c'erano «alternative concrete» per rettificare la falsa rappresentazione della realtà data pubblicamente da un ministro della Repubblica. Quindi la sua non fu né smania di protagonismo né violazione del riserbo. Perciò il Csm, modificando la sentenza con cui un anno fa la condannò alla «censura» e respingendo la richiesta del Pg della Cassazione Eugenio Selvaggi di confermare la medesima sanzione, ieri ha «escluso gli addebiti» e l'ha assolta.
La condanna era stata annullata il 24 marzo dalle sezioni unite della Cassazione, che però avevano rimandato la palla al Csm per verificare se la Fiorillo avesse davanti a sé strade alternative «in concreto» percorribili, come la richiesta di tutela al Csm o l'intervento del Procuratore capo (entrambe peraltro seguite, ma senza esito). E nella sentenza già c'era una risposta implicita: «Non può tacersi – scriveva la Corte – che nell'attuale società mediatica l'opinione pubblica tende ad assumere come veri i fatti rappresentati dai media, se non immediatamente contestati: la verità mediatica, cioè quella raccontata dai media, si sovrappone infatti alla verità storica e si fissa nella memoria collettiva con un irrecuperabile danno all'onore». Dunque, la reazione doveva essere tempestiva ed efficace. «Non poteva essere solo una speranza di tutela», ha sottolineato Nello Rossi, procuratore aggiunto a Roma, difensore della Fiorillo.
C'era anche lei ieri, nell'aula Bachelet di Palazzo dei Marescialli, venuta apposta dalle vacanze perché non ha mai smesso di credere nella sua «battaglia per la verità», nonostante i tentativi di delegittimazione subìti in questi quattro anni. Che l'hanno vista, ricorda Rossi, «esposta a un lungo periodo di gogna mediatica», durante il quale chiunque si esercitava ad attribuirle condotte diverse o ad interpretare strumentalmente le sue parole scritte. Il primo a crederle è stato il Tribunale di Milano, quando l'ha sentita nel processo Ruby, di cui è diventata una teste chiave. Il caso ha voluto, poi, che il processo disciplinare tornasse al Csm proprio alla vigilia della sentenza d'appello, prevista per oggi. Si temeva che la coincidenza potesse giocare a suo sfavore. Ma la Sezione disciplinare presieduta dal vicepresidente del Csm Michele Vietti non si è fatta condizionare. «Raramente come in questo caso è emersa una nitida verità sulla condotta del magistrato», chiosa Rossi, gustandosi la vittoria. Una vittoria per chiunque abbia a cuore la verità ma anche il diritto dell'opinione pubblica a una corretta informazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi