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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2014 alle ore 06:38.

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Oggi i giudici della seconda Corte d'Appello di Milano presieduta da Enrico Tranfa entreranno in camera di consiglio per decidere (forse già nel pomeriggio e al massimo entro lunedì) se confermare o meno la sentenza di primo grado del processo Ruby del 24 giugno 2013 che vede Silvio Berlusconi condannato a sette anni di reclusione con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di concussione per costrizione e prostituzione minorile. Il sostituto procuratore generale, Piero De Petris ha chiesto la conferma della condanna («pena severa, ma giusta»). Che, invece, sarebbe basata su «opinioni» e su «congetture che servono solo a puntellare prove inesistenti» secondo quanto sostenuto nella loro arringa i difensori dell'ex capo del Governo, gli avvocati Filippo Dinacci e Franco Coppi. La difesa punta anche su tutta una serie di questioni processuali, tra cui l'inutilizzabilità delle intercettazioni, che potrebbero portare all'annullamento o alla riforma della sentenza del Tribunale.
Qualora arrivasse una condanna anche in secondo grado e questa poi venisse confermata dalla Cassazione (l'udienza potrebbe tenersi tra l'estate e l'autunno 2015) per Berlusconi "rivivrebbero" anche i tre anni della sentenza Mediaset cancellati dall'indulto. Per l'ex premier potrebbe, dunque, scattare un cumulo pena delle due sentenze di 10 anni che, in quanto ultrasettantenne, avrebbe la possibilità di scontare in detenzione domiciliare.
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