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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2014 alle ore 14:11.

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«Sentirsi prima accusare e poi condannare a sette anni di reclusione per una telefonata di tre secondi e per fatti che non sono accaduti, proverebbe chiunque, anche la persona più corazzata». Così Franco Coppi risponde alla domanda di un cronista sugli effetti del processo Ruby nei confronti di Silvio Berlusconi, che oggi è stato assolto dalle accuse di concussione e prostituzione minorile, che gli erano costate in primo grado una condanna a sette anni.

A chi gli ha domandato quanto sia contato il «diverso atteggiamento» tenuto dal collegio difensivo composto da lui e dall'avvocato Filippo Dinacci, Coppi ha ribattuto: «ognuno di noi ha diversi stili, ma i motivi di impugnazione sono stati fatti da Longo e Ghedini».

A questo proposito, va registrato che, subito dopo la lettura del dispositivo, l'avvocato Dinacci ha telefonato a Nicolò Ghedini, che ha reagito con un'espressione di esultanza alla notizia dell'assoluzione. Coppi ha anche spiegato che l'ipotizzata, alla vigilia, derubricazione del reato di concussione per costrizione in concussione per induzione «non era giuridicamente possibile dopo la pronuncia delle sezioni unite della Cassazione». «È chiaro che speravo in questa sentenza - ha aggiunto - siamo molto soddisfatti. Avevamo delle motivazioni forti che la Corte d'appello ha riconosciuto come valide. Non c'erano prove della concussione, dell'elemento materiale del reato e per la prostituzione minorile c'era per lo meno l'ignoranza dell'età».

Il professore ha infine reso merito al procuratore generale Piero De Petris, che aveva chiesto la conferma della condanna, di avere difeso «con grande intelligenza» il verdetto pronunciato, poco più di un anno fa, dai giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano.

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