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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2014 alle ore 12:41.
L'ultima modifica è del 18 luglio 2014 alle ore 15:05.

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La pagina di informazioni relative all'incidente sul sito della Malaysia AirlinesLa pagina di informazioni relative all'incidente sul sito della Malaysia Airlines

Erano al telefono ieri Obama e Putin per discutere delle sanzioni contro Mosca quando è arrivata la notizia dell'abbattimento del Boeing malese con 300 persone a bordo. Sono rimasti di stucco, forse incapaci di dare un senso a un evento tragico ma non del tutto imprevedibile visto che da giorni l'artiglieria e i razzi incrociavano le rotte dei caccia.
Tutti e due non possono dire una verità evidente: né gli Stai Uniti né la Russia sono in grado di controllare davvero quanto avviene sul campo.

L'America non può frenare i soldati ucraini quando avanzano all'attacco, Mosca non riese a trattenere le milizie filo-russe che si sono impadronite di un arsenale militare di cui nelle diatribe tra Europa, Usa e Russia, ci si era colpevolemente dimenticati, come se fosse un dettaglio secondario.

Se la diplomazia può fare qualche cosa per l'Ucraina deve agire presto, se non bene. La tragica vicenda del Boeing 777 dovrebbe far accelerare i negoziati tra le parti e portarli a compimento concreto: ovvero a un accordo di cessate il fuoco reale e non soltanto virtuale, monitorato sul campo da forze internazionali.

Ucraini, ribelli, russi, americani ed europei, si stanno comportando invece con poco senso di responsabilità: tutti mirano, per la loro parte, a portare a casa un risultato particolare, esattamente come facevano le potenze europee alla vigilia della prima guerra mondiale di cui si ricorda in queste settimane l'anniversario del 1914 e il colpo di pistola a Sarajevo di Gavrilo Princip, un militante filo-serbo adolescente che nessuno era in grado di controllare ma in molti potevano manovrare.

Non è vero che impariamo dalla storia, neppure da quella più recente. Gli stati europei agiscono come se il passato non avesse nulla da insegnarci. Invece la sanguinosa lezione delle guerre dei Balcani negli anni '90 (oltre 200mila morti e 4 milioni di profughi) è dietro la porta per dire quanto sia pericolso fare affidamento su stati deboli, imbevuti di ipernazionalismo, fortemente influenzabili dall'esterno da attori interessati; come sia rischioso e azzardato, fare conto su milizie che sono fedeli soltanto ai loro capi locali o a militari e mercenari che vedono nel prolungamento del conflitto un'imperdibile occasione per fare carriera, bottino e arricchirsi.

Le guerre balcaniche e ancora di più il dopoguerra seguito ai quei conflitti hanno dimostrato quanto sia lungo e tormntato a una presunta normalità quando il potere, in primo luogo delle armi, finisce in mano a leader senza scrupoli, più vicini alla criminalità che alla politica. Serve soprattutto affontare la dimensione economica e sociale della crisi ucraina, la radice dei guai che hanno fatto soprofondare il Paese. Altrimenti ci saranno conti ancora più salati da pagare per tutti, in termini di instabilità e insicurezza.

Ma è esattamente questo il clima di disfacimento che si sta preparando in Ucraina. C'è da sperare che l'ultimo tragico evento sia la sirena d'allarme per trovare una soluzione politica. Ma ci dobbiamo credere?

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