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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2014 alle ore 06:38.

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ROMA
Se è vero che tre indizi fanno una prova ne manca uno solo per confermare la rinascita del federalismo all'italiana. Almeno di quello "vecchio" in attesa che la riforma del Titolo V all'esame del Senato fissi i pilastri del "nuovo". Nel giro di cinque giorni sono arrivati infatti due segnali in tal senso: mercoledì scorso la Sose ha presentato la nuova banca dati OpenCivitas sui fabbisogni standard degli enti locali; ieri il preconsiglio ha dato l'ok ai Dpcm con le note metodologiche riguardanti proprio gli indicatori di spesa efficiente degli enti locali. Un atto propedeutico al varo – preliminare o definitivo a seconda dei casi – nel prossimo Consiglio dei ministri, forse già domani.
L'improvviso ritorno di fiamma per il federalismo sembra nascere soprattutto dall'intenzione del governo Renzi di collegarlo alla spending review. Come anticipato sul Sole 24 Ore del 17 luglio, la prossima legge di stabilità dovrebbe infatti portare dal 10% attuale (rimasto però sulla carta visto che non è mai arrivato l'accordo tra Stato e autonomie) al 40% la quota del fondo di solidarietà ripartito sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali dei diversi territori. Così da collegare a un primo parametro di virtuosità la distribuzione dei trasferimenti perequativi tra aree "ricche" e "povere".
Non si spiega altrimenti il fatto che i tre decreti del presidente del Consiglio attesi al prossimo Cdm siano rimasti in naftalina, nel migliore dei casi, per sette mesi e siano ritornati d'attualità proprio ora. Delle sei funzioni fondamentali di comuni e province, per le quali la legge delega n. 42 del 2009 e il Dlgs attuativo n. 216 del 2010 hanno sancito il passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard, solo una a testa è giunta al traguardo: la polizia locale per le amministrazioni comunali e lo sviluppo economico per quelle provinciali, che sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 5 aprile 2013.
Sulle altre cinque funzioni (anche se non su tutte) intervengono i tre Dpcm esaminati ieri in preconsiglio. Il primo, che è anche il più datato, riguarda i coefficienti per il calcolo delle spese di amministrazione generale, di gestione e di controllo degli enti comunali e provinciali. Il provvedimento ha incassato il disco verde della commissione paritetica per il federalismo (Copaff) guidata da Luca Antonini il 20 dicembre 2012 e il via libera preliminare dell'Esecutivo il 18 aprile 2013. I successivi passaggi richiesti dalla legge - conferenza Stato-città e parere delle commissioni parlamentari competenti – si sono conclusi il 30 gennaio scorso. E solo domani dovrebbe arrivare l'approvazione finale del Governo.
Per gli altri due Dpcm si tratterà solo del primo esame in Cdm. E questo nonostante il via libera della Copaff risalga in un caso – istruzione pubblica e gestione del territorio delle province – al 7 luglio 2013 e nell'altro – istruzione pubblica (inclusi gli asili nido), viabilità e trasporti, gestione del territorio e ambiente, servizio sociale dei comuni – al 23 dicembre 2013. Dando per scontato l'ok del governo, entrambi i provvedimenti dovranno poi superare la trafila dei pareri (Stato-città, bicamerale per il federalismo e commissione Bilancio di Camera e Senato) e tornare a Palazzo Chigi per l'ultimo sì.
A quel punto per completare l'operazione fabbisogni mancheranno solo i Dpcm sulle restanti funzioni delle province: trasporti, tutela ambientale e polizia provinciale (aggiuntasi successivamente). Seppure vedessero la luce nei prossimi giorni e arrivassero al traguardo entro il 2014, così da essere operativi nel 2015, l'intera operazione fabbisogni partirebbe comunque con un anno di ritardo rispetto alle ultime previsioni del legislatore. Con il rischio che gli indicatori di spesa efficiente degli enti locali nascano già vecchi. Un pericolo evidenziato anche dal presidente dell'Anci, Piero Fassino, durante la presentazione della banca dati Sose che consente di confrontare lo scostamento comune per comune tra spesa storica 2010 e fabbisogni standard e che da ottobre sarà aperta a tutti i cittadini.
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+41%
Lamezia Terme
È il Comune con più di 60mila abitanti che, secondo OpenCivitas, fa segnare lo scarto maggiore tra la spesa storica per abitante 2010 e il fabbisogno standard per abitante dello stesso anno. Spende cioè il 41% in meno di ciò che potrebbe spendere stando ai coefficienti per il calcolo dei fabbisogni standard
-31%
Perugia
È il Comune, sempre tra quelli con più di 60mila abitanti, che registra invece la performance peggiore. Il suo fabbisogno standard per abitante 2010 risulta infatti più basso del 31% rispetto alla spesa storica sostenuta nello stesso anno. A seguire ci sono Brindisi (-29%) e Taranto (-25%)

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