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Questo articolo è stato pubblicato il 23 luglio 2014 alle ore 06:38.

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A Giancarlo Galan vengono contestati i reati di corruzione e finanziamento illecito. E nei suoi confronti né la Giunta per l'autorizzazione a procedere né la Camera dei deputati ha ravvisato un "fumus persecutionis", cioè un accanimento con fini politici da parte della magistratura.
Per l'ex governatore veneto, oggi deputato di Forza Italia, l'accusa dei pm Stefano Buccini, Stefano Ancilotto e Paola Tonini è di aver intascato mazzette per molti milioni da parte delle imprese del Consorzio Venezia nuova, al fine di rilasciare autorizzazioni ambientali regionali per il progetto del Mose, o per pagare le campagne elettorali; di aver inquinato le gare dei project financing a favore delle imprese "amiche"; di essersi fatto ristrutturare la villa di Cinto Euganeo dal Consorzio stesso. Ad esempio si legge nelle carte dell'inchiesta che avrebbe ricevuto «uno stipendio annuale di 1,9 milioni tra il 2007 e il 2008 per il rilascio da parte della commissione di salvaguardia di un parere favorevole e vincolante sul progetto definitivo del sistema Mose; 900mila euro tra 2006 e 2007 per il rilascio del parere favorevole della commissione Via sui progetti delle scogliere alle bocche di porto di Malamocco e Chioggia».
A far decidere la Giunta e la Camera sono stati essenzialmente tre punti, come spiega il relatore Mariani Rabino (Sc). Prima di tutto non ha convinto il fatto che il suo conto corrente a San Marino fosse stato utilizzato per alcuni movimenti a sua insaputa, come lui sostiene nelle memorie difensive. La procura di Venezia gli contesta entrate e uscite di denaro, ma per Galan quel conto è stato aperto in modo simbolico durante un'operazione diplomatica e non è mai stato da lui utilizzato.
La seconda questione: il restauro della villa a lui intestata. Galan non avrebbe mai esibito bonifici con cui poteva dimostrare di aver pagato di tasca sua la ristrutturazione.
Infine le quote azionarie in società infrastrutturali, che partecipavano alle gare regionali. Secondo la procura Galan avrebbe usato un prestanome per mettersi in affari con quelli che oggi sono diventati i suoi stessi accusatori (dal presidente del Cvn Giovanni Mazzacurati al manager Piergiorgio Baita). Per Galan si tratta di piccole quote in società non importanti, mai vincitrici di bandi pubblici; ma per i suoi colleghi deputati costituisce già un fatto grave essersi esposto ad un conflitto di interessi.
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