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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 24 luglio 2014 alle ore 15:21.

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John Kerry (Afp)John Kerry (Afp)

Essere chiusi in una gabbia. Con qualche importante differenza, Israele sta sperimentando come i palestinesi di Gaza il malessere della reclusione. Da quando un razzo di Hamas è caduto vicino alle piste, due giorni fa, l'aeroporto Ben Gurion, la porta del Paese sul mondo, è praticamente chiuso. «Hanno conseguito un successo fondamentale», ammette il giornale Ha'aretz.

Le cose a Gaza non stanno andando come il governo e lo stato maggiore israeliani avevano pianificato. Ora è anche lo Stato ebraico ad essere sotto assedio: relativamente dalle operazioni militari di Hamas, decisamente dalla diplomazia e dall'opinione pubblica internazionali. È per questo che prende sempre più sostanza la tregua negoziata dal segretario di Stato americano John Kerry e dagli egiziani, che potrebbe entrare in vigore domani.

È una tregua delle armi, non ancora politica. L'obiettivo di Kerry - che ieri ha parlato di «qualche passo avanti» verso il cessate il fuoco - è fermare i combattimenti per un tempo illimitato anche se non lungo, necessario perché la diplomazia affronti gli aspetti politici del problema. In tutti i numerosi precedenti dell'ultimo decennio, i cessate il fuoco erano incompleti e deboli: si limitavano a rinviare di qualche mese o di un paio d'anni lo scontro successivo.

Kerry è in carica e non può parlare in modo troppo esplicito. Madeleine Albright, segretario di Stato nella seconda amministrazione Clinton, non lo è ed è più chiara: «Il diritto alla difesa d'Israele è fuori questione - dice alla Cnn -. Il problema di fondo sono le proporzioni» fra questo diritto e l'uso che Israele ne sta facendo. Secondo le stime palestinesi, confermate dall'Onu, i morti a Gaza sono 650, il 26% dei quali miliziani: due vittime su tre sono civili. Quelli israeliani sono 32, dei quali 30 militari. Per Israele, insiste Albright, «non c'è sicurezza fino a che non c'è una soluzione per i due Stati». È la formula dei "due stati per due popoli, uno accanto all'altro in pace e sicurezza" che per primo aveva enunciato George Bush una decina d'anni fa.

«Ma ora la questione più immediata è il cessate il fuoco», conclude Madeleine Albright. Arrivato dal Cairo, diventata la sua base, ieri Kerry è andato a Gerusalemme a incontrare Bibi Netanyahu e poi a Ramallah da Abu Mazen, il presidente dell'Autorità palestinese. È venuto il tempo per una tregua che per Israele non è più dilazionabile: sul piano morale, prima che militare tattico. Per quanto imprecisi, i missili di Gaza sono stati capaci di raggiungere Haifa; all'offensiva terrestre d'Israele dentro la Striscia, Hamas ha risposto infiltrando in Israele dai tunnel i suoi miliziani. Sono stati tutti fermati ma i kibbutz e le comunità della zona sono stati evacuati perché il pericolo di nuove incursioni è reale.

Per vincere, Israele deve distruggere tutte le infrastrutture di Hamas. Al movimento palestinese basta dimostrare di continuare ad esistere per rivendicare una vittoria. I razzi di due giorni fa sono solo arrivati a una certa distanza dalle piste, senza fare danni. Ma è stato sufficiente per paralizzare l'aeroporto: 140 voli annullati.

Ieri a Ginevra anche l'alta commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, Navi Pillay, ha denunciato «gli attacchi indiscriminati» di Hamas contro Israele. Ma quel che ha fatto più notizia è la convocazione di un «dibattito d'emergenza» riguardo ai comportamenti dello Stato ebraico. L'obiettivo è nominare una commissione d'inchiesta. «Sembra ci sia una forte possibilità che la legge internazionale sia stata violata in un modo che potrebbe equivalere a un crimine di guerra», spiega Pillay, misurando le parole. La reazione della ministra della Giustizia israeliana Tzipi Livni è quella tradizionale: la commissione per i diritti umani «è un'istituzione anti-israeliana».

La richiesta di un dibattito a Ginevra era stata avanzata dall'Autorità di Abu Mazen. Dopo un voto storico dell'Assemblea generale nel novembre del 2012, la Palestina è passata dallo status di "entità" a quella di "Stato osservatore non membro". Come la Santa Sede. Questa condizione permette alla Palestina di aderire a tutte le agenzie Onu, compreso il tribunale internazionale.

Intanto non si ferma la guerra. Ieri si è combattuto attorno a Kan Younis, nel Sud della Striscia. Altri 60 palestinesi sono morti, non tutti miliziani. Negli scontri sono stati uccisi anche tre soldati israeliani. Bibi Netanyahu ha annunciato che le truppe israeliane sono pronte ad aprire una nuova fase dell'operazione "Soglia di protezione": un'escalation più che una riduzione delle attività militari. Il governo ha anche chiesto agli Stati Uniti un aiuto supplementare di 225 milioni di dollari necessari per far funzionare Iron Dome, il sistema anti-missile che fino ad ora ha fermato quasi tutti i razzi palestinesi. L'intensificarsi dell'assalto a Gaza non è necessariamente in contraddizione con la possibile tregua di domani. Prima di essere costretti a fermarsi, gli israeliani vogliono cercare di raggiungere il maggior numero di obiettivi.
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