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Addio al carbone: il Sulcis sperimenta l'energia pulita

Le miniere in perdita chiuse entro il 2018. Al loro posto centro di ricerca d'eccellenza. Okay da Roma con trenta milioni di risorse.

5. Sulcis / Il presidente della Carbosulcis

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Il presidente della Carbosulcis è Luigi Zucca, commercialista fra i più autorevoli della Sardegna.
«Il punto di equilibrio, il breakeven, di questo polo minerario è con una produzione di 700mila-800mila tonnellate l'anno. Il record è stato nel 2012 con 302mila tonnellate estratte, siamo ancora ben lontani dal pareggio», osserva Zucca. Circa la metà delle perdite della Carbosulcis, 22 milioni, sono rappresentate dalla voce costo del lavoro.

«L'attività è discontinua. Ci vuole circa un anno per preparare le gallerie necessarie allo sfruttamento di una vena, e l'anno successivo l'area prescelta entra in produzione. Ora siamo nella fase di preparazione, quindi si produce poco». Qual è la struttura del personale? Risponde Zucca: «Abbiamo circa 100-130 persone assunte negli ultimi anni soprattutto come tecnici del soprassuolo. Gli amministrativi e gli impiegati sono più di un centinaio. Un'ottantina i minatori».
La chiusura programmata fra quattro anni prevede un'uscita graduale del personale con pensionamenti e prepensionamenti, e la produzione mineraria sarà correlata con le uscite. Poi dal 2019 al 2027 bisognerà mantenere una parte dei dipendenti per il risanamento ambientale delle zone minerarie.
«Dobbiamo creare subito i presupposti che consentano di generare una cultura industriale nuova. Potremmo produrre umificanti brevettati per agricoltura, creare forme di innovazione industriale, usare le gallerie a 500 metri di profondità come laboratorio per prove sperimentali, istituire un'università dell'ambiente. In altre parole – sottolinea il presidente – la chiusura programmata deve rappresentare il presupposto per una riconversione». Per esempio ricorrendo alla formazione prevista dai fondi europei.
«C'è un problema di cultura mineraria che con la chiusura del parco minerario potrà andare dispersa. Troppi giovani non se la sentono di lavorare in miniera, e i dipendenti attuali sono destinati a uscire dal mondo del lavoro. Vorrei che queste esperienze, queste capacità rimangano vive anche quando la miniera sarà chiusa: i nostri uomini potrebbero trovare nuova occupazione andando a insegnare in Paesi come Polonia o Cina, dove c'è bisogno di conoscenze minerarie».

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