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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2014 alle ore 08:13.

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di Roberto Turno

Dal "lodo Alfano" per bloccare i processi al Cavaliere approvato a tambur battente nell'estate 2008 in soli 15 giorni, agli «spazi verdi urbani» che per diventare legge hanno imposto cinque via-vai tra Camera e Senato, mesi e mesi di gravi incertezze da sciogliere e un ping pong che nemmeno tra Cina e Giappone. Ma davvero è la palude parlamentare a inghiottire la speranza di tradurre in legge gli alti pensieri dei Governi e a impedire ai sogni (di legge) di diventare realtà? Non sarà piuttosto la politica (i partiti) a fare il suo corso e a battere legge quando vuole e nei tempi che vuole come nel caso di scuola del salva-Berlusconi? Insomma, e se le famose navette parlamentari - il batti e ribatti dei Ddl da una Camera all'altra – non siano poi il male di tutti i mali?
L'interrogativo – non solo tra i dissidenti del Pd, i malpancisti di Forza Italia, gli oppositori duri e puri – non è considerato una semplice forzatura nel dibattito accademico. Perché i numeri (del modo di fare le leggi) di questi anni vissuti nel segno della crisi e del baratro del default, hanno fatto cambiare pelle, e parecchio, all'iter legislativo così come si cerca forse troppo semplicisticamente (e velocemente) di spiegare all'opinione pubblica. E questo, non per difendere il bicameralismo perfetto e tutti i guai che ha prodotto in 66 anni di Parlamento repubblicano. O i tempi da elefante che a volte servono per fare una legge tra veti incrociati e barricate delle opposizioni anche per grave difetto dei regolamenti parlamentari senza assicurare (come si vuol fare con le riforme) tempi certi alle proposte del Governo.
Dicono in ogni caso le statistiche che nei primi 18 mesi di legislatura ci sono voluti in media 29 giorni al Senato e 31 alla Camera per "fare" una legge del Governo, ma rispettivamente 72 e 65 per un Ddl ordinario sempre del Governo; dati da moltiplicare per cinque (148 al Senato e 155 alla Camera) per un Ddl di origine parlamentare.
Sono i numeri di questi anni, del resto, a regalarci anche un'altra storia, un'altro pezzo di verità sulle navette parlamentari e sul modo di legiferare. A partire, la scorsa legislatura, da Berlusconi-Tremonti, proseguendo con Monti, Letta e ora Renzi, sono ormai i decreti, con tanto di fiducie addosso, a "battere legge". Tutto o quasi si fa per decreto, tutto spesso in meno dei fatidici 60 giorni. In questo senso le navette sono (quasi) un ricordo, un'etichetta addosso ai professionisti dell'emendamento e ai peones che non vale sempre e comunque. Il caso del Governo di Matteo Renzi: con quello di ieri sono stati 10 i voti di fiducia incassati su altrettanti decreti. E le 10 leggi prodotte col "marchio Renzi" sono state tutte conversione di decreti.
Ma i numeri e i casi ci dicono anche di più. Delle 391 leggi approvate la scorsa legislatura, ben 301 ce l'hanno fatta senza navette, ovvero con una sola lettura alla Camera e una al Senato. Percorso netto, legge scritta da una parte e ratificata dall'altra. Di queste ben 131 ratifiche internazionali e 82 di conversione di decreti. Come dire che al netto dei Dl e delle ratifiche, sono stati 88 i Ddl ordinari battezzati con due soli voti. Quasi quanto le leggi che hanno richiesto invece le navette, anche fino a cinque o sei, con brividi parlamentari costanti: ben 90. Per tre leggi ci sono volute più di 4 navette, 12 ne hanno dovute sopportare 4, ben 75 (con 3 Dl) sono state frenate da 3 navette. Navette e non navette alla pari, insomma.
Ma con tutte le eccezioni del caso. Perché le perle non sono mancate tra leggi spesso di peso specifico ben diverso, magari per aggiungere o togliere volta per volta un vagoncino, non solo per risolvere veri problemi. Ecco così le ben cinque letture che ha richiesto la legge per lo «sviluppo degli spazi verdi urbani». O le quattro per i 72 articoli della legge omnibus su competività, semplificazione, processo civile e deleghe varie. Quattro navette hanno subito i 61 articoli del Codice della strada del 2010 e i 53 della Comunitaria 2008. Tre passaggi ha imposto però perfino il contributo alla biblioteca italiana per ciechi «Regina Margherita», quante ce ne sono volute per la libertà e lo statuto d'impresa o per gli impianti protesici mammari. Chissà quanto tempo perso nel frattempo per altri Ddl che avrebbero meritato spazio e rapidità.
È il caso di un Ddl di Berlusconi del 2008 sul lavoro: nato in 75 articoli, dallo stralcio alla Camera gemmarono 3 Ddl che terminarono l'iter tra 1 anno (il più rapido) e 2 anni e mezzo di tempo. Articoli finali 176, il 100% in più. In tutto 14 navette. Anche perché di mezzo ci fu il Quirinale che rinviò il testo alle Camere, e consentì di migliorarlo. Fare una legge in 900 giorni non è un bell'esempio, piaccia o meno quella legge. Uno spot perfetto pro Renzi e le sue riforme, si direbbe. Con tutti i se e i ma del caso. E i dubbi su un bicameralismo imperfetto nella sua perfetta perversione.
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