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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2014 alle ore 08:12.

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Per una volta dalle parole si passa ai fatti. La riforma dell'Opa e l'introduzione del voto multiplo erano in testa ai suggerimenti per incentivare la quotazione messi a punto da un gruppo di lavoro "PiùBorsa" – coordinato dalla Consob e partecipato da Borsa, Abi, Aifi, Assirevi, Assogestioni, Assosim, Confindustria, Fondo italiano d'investimento, Fondo strategico, Bocconi, Fondazione ResPublica – che li ha messi nero su bianco il 4 giugno.
Più ancora che l'Opa è il voto multiplo l'incentivo sul quale si scommette per convincere le Pmi familiari ad avvicinarsi al listino (sul tema c'è un approfondito studio Consob di gennaio). Solo le società non quotate infatti hanno la possibilità di emettere azioni con voto triplo: a logica in Borsa porteranno poi le sole "ordinarie". Questo consentirebbe all'imprenditore di collocare sul mercato una fetta maggiore di capitale senza perdere il controllo. Per contro, rinunciando in questo modo alla contendibilità si rinuncia anche all'appeal speculativo che di solito è premiante in sede di Ipo. D'altra parte, si tratta dello stesso meccanismo che – in forma ben più accentuata – è stato utilizzato negli Usa per permettere alla "new economy" di crescere. Google, per esempio, prima dell'Ipo del 2004 ha attribuito ai due soci fondatori azioni di classe B, con voto decuplicato, che consentivano di controllare la società col 56% dei voti. Analogamente, il socio fondatore di Facebook, dopo la quotazione, col 18% di capitale ha mantenuto il controllo sul 57% dei voti.
Per le società già quotate, invece, indipendentemente dalle dimensioni, il modello di riferimento è quello francese. In questo caso, le modifiche che si stanno per adottare in Italia non comportano l'emissione di una diversa categoria di azioni, bensì la facoltà "personale" degli azionisti "stabili" da almeno due anni di raddoppiare il voto in assemblea (cedendo le azioni il voto maggiorato decadrebbe). Per arrivarci occorre però convincere il mercato – sempre più presente nelle adunanze societarie – dato che, trattandosi di modifiche statutarie, ci vuole il sì della maggioranza dei due terzi in assemblea straordinaria, salvo per le delibere adottate entro il 31 gennaio 2015 per le quali, transitoriamente, il testo approvato ieri in Senato ritiene sufficiente l'ok di «almeno la maggioranza del capitale rappresentato in assemblea». Se la proposta viene approvata, dopo due anni di possesso, il diritto al voto doppio matura nei confronti di tutti i soci "fedeli", salvo rinuncia totale o parziale degli stessi. Di fatto, difficilmente l'azionista di riferimento potrà raddoppiare tout court in questo modo la presa sull'assemblea, perché sarà "diluito" dagli altri soci di lungo corso che faranno la stessa scelta. Ma cosa succederebbe in caso di Opa? La passivity rule vale ancora – non si può cioè correre ai ripari di fronte a una scalata indesiderata introducendo il voto doppio – salvo che lo statuto societario preveda diversamente. Per contro, in caso di Opa, i voti "in più" non verrebbero automaticamente sterilizzati, salvo che lo statuto lo preveda espressamente. In Francia più della metà delle blue chip dell'indice Cac 40 – società come Axa, SocGen, Total e Peugeot – ammette il voto doppio.
Certo il rischio è che aumenti la tentazione "all'estrazione di benefici privati del controllo". Ma potrebbe essere un boomerang per i "furbi", perché in questo caso al mercato non resterebbe che "votare con i piedi" – come da tradizione – vendendo le azioni che così perderebbero valore.
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