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Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2014 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 28 luglio 2014 alle ore 08:47.

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In ultimo luogo, l'aggiornamento retroattivo imputa longevità (tavole di sopravvivenza) diverse ai membri di una stessa coorte, con ciò generando disparità intra generazionali lesive del principio di uguaglianza costituzionalmente garantito. A tal riguardo, la pensione di anzianità (sopravvissuta alla riforma Fornero sotto mentite spoglie) impedisce la definizione esplicita di un'età pensionabile minima. Tuttavia, è stimabile che, per ogni coorte, la finestra delle età pensionabili si apra a 57,5 anni, ottenuti sommando l'obbligo scolastico di 15 al requisito contributivo di 42,5 richiesto alle donne per accedere alla (diversamente nominata) pensione di anzianità. Poiché la finestra si chiude a 70 anni e 3 mesi, ogni coorte andrà in pensione in un arco di circa 13 anni solari, durante i quali i coefficienti saranno mediamente cambiati per oltre sei volte. Perciò altrettanto numerose saranno le longevità imputate a una stessa coorte.

L'indicizzazione. La seconda malformazione congenita riguarda l'indicizzazione. Si ricordi che il sistema contributivo opera alla stregua di una banca virtuale intestando a ogni lavoratore un conto corrente su cui depositare i contributi e prelevare poi le rate di pensione. Il conto è fruttifero in ragione di un tasso d'interesse sostenibile che l'Italia ha identificato nella crescita del Pil, talché i prelievi possono superare i depositi. Gli interessi accreditati agli attivi restano sui conti maturandone altri per concorrere infine alla formazione dei montanti contributivi. Quelli accreditati ai pensionati, sulle giacenze che restano dopo le rate annue già prelevate, sono invece la risorsa deputata a finanziare l'indicizzazione delle rate stesse. Ecco perché il modello contributivo deve annualmente indicizzare le rate in base all'interesse sostenibile contestualmente accreditato agli attivi.

Ma il modello è duttile al punto da consentire che, al pensionamento, sia anticipata una parte dell'interesse maturando. Evitando dettagli tecnici, l'anticipazione prende le 'sembianze' di una maggiorazione dei coefficienti di trasformazione. Poiché gli interessi non sono pagabili due volte, all'anticipazione dovrà fare riscontro un'indicizzazione commisurata alla sola parte residua dell'interesse maturando. In pratica, l'intera manovra serve ad appiattire il profilo temporale del vitalizio aumentandone la rata iniziale a scapito di quella finale.

La Svezia scelse di anticipare l'1,6% e perciò di indicizzare le pensioni contributive in base alla parte residua dell'interesse maturando. Per evitare differenze difficilmente gestibili sul piano sociale, la medesima indicizzazione fu estesa alle pensioni retributive finché esisteranno. Nel biennio 2010-2011, la crisi economica ha schiacciato l'interesse sostenibile fin sotto l'1,6% infliggendo alle pensioni svedesi una dura indicizzazione negativa, cioè un abbattimento nominale. La disciplina contributiva è stata tollerata in un Paese che, nel 1998, l'aveva scelta dopo una riflessione di sei anni.

Allertata dal caso svedese, la Norvegia ha successivamente scelto di anticipare solo lo 0,75%. Come la Svezia, l'Italia ha scelto un'anticipazione importante dell'1,5% ma si è paradossalmente dimenticata di adottare un'indicizzazione coerente. Se l'avesse fatto, non ci sarebbe stato bisogno, dal 1995, degli interventi "manuali" di sospensione o attenuazione dell'indicizzazione ai prezzi.
Dopo le contraddittorie riforme degli ultimi anni, non si avverte il bisogno di metterne in campo di nuove. Ma la posta in gioco è elevata: occorre salvare il sistema contributivo italiano prima di vederne la fragile architettura sgretolarsi sotto il peso delle sue incongruenze.

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