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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2014 alle ore 11:23.
L'ultima modifica è del 30 luglio 2014 alle ore 11:24.

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Daniel Hackett (LaPresse)Daniel Hackett (LaPresse)

Mantenere sempre un comportamento corretto è il segnale del profondo rispetto che proviamo nei confronti della Maglia Azzurra, dei compagni e di tutti i professionisti che lavorano intorno alla Nazionale. Ci auguriamo che Daniel possa imparare dai propri errori e che in futuro non capitino più episodi analoghi che nuocerebbero alla coesione del gruppo. La stessa coesione che storicamente è sempre stata la pietra angolare dei successi Azzurri.

La Nazionale Italiana di Pallacanestro 2014».

Che Daniel Hackett abbia sbagliato, senza nessuna giustificazione, è chiaro per tutti. Nessuno può difendere una posizione indifendibile, soprattutto considerando i commenti che lo stesso Hackett ha affidato ai social networks dopo aver abbandonato il ritiro azzurro. Ma la reazione dei suoi compagni appare sbagliata nel modo e nei tempi.

Nel modo, perchè da che sport è sport i panni sporchi si lavano nello spogliatoio: la storia è piena di casi in cui un giocatore è stato estromesso dalla rappresentativa nazionale proprio per iniziativa dei compagni. È successo nel calcio, dove basta ricordare il balletto Cassano si, Cassano no, con convocazioni a singhiozzo tra europei e mondiali in base alle indicazioni dello spogliatoio; è successo nel basket con il sommo Michael Jordan che pronunciò un chiaro «o io o lui» quando si trattò di convocare Isaiah Thomas nel Dream Team delle Olimpiadi di Barcellona. Chi sia rimasto in quella Nazionale Usa, tra Jordan e Thomas, è ormai storia. Ma queste cose si sono sapute, appunto, con la storia: non con una presa di posizione pubblica, tantomeno con una lettera firmata da tutti i componenti di una squadra. La sacralità di uno spogliatoio è la regola base di ogni sport: che Hackett abbia usato Facebook per esprimere il suo pensiero è un gravissimo errore, ma ripagarlo violando questa regola base è ancora peggio.

La reazione è sbagliata anche nei tempi perché Hackett aveva di fatto chiuso la vicenda ammettendo l'errore e scusandosi con tutti i soggetti in causa. Se la lettera fosse stata scritta di getto subito dopo l'abbandono del ritiro sarebbe stata comunque inopportuna nei modi, ma almeno coerente nei tempi. Così no, arriva a cose fatte e chiarite e non aggiunge nulla se non la complicazione del rapporto futuro tra il play di Milano e la maglia azzurra. Non è difficile immaginare con quale stato d'animo Hackett possa entrare nello spogliatoio alla prossima convocazione (se mai ci sarà) sapendo di avere tutti i compagni capaci di sanzionare in pubblico un suo comportamento.

Il tempo medica tutte le ferite, si dice, e speriamo che sia così anche in questo caso. Tra i firmatari della lettera c'è anche Alessandro Gentile, amico fraterno di Hackett da anni e, fatto non trascurabile, suo capitano nell'Olimpia. Pare che tra i due le cose fossero state chiarite immediatamente e che il loro rapporto non sia in discussione. Ma restano tutti gli altri, con cui sarà difficile ma indispensabile ricostruire un rapporto sereno non solo sul campo da gioco.

Una brutta vicenda nella quale hanno sbagliato tutti: Hackett per primo, e su questo non si discute, ma anche la Nazionale che ha espresso concetti giusti e sacrosanti rivolgendosi all'interlocutore sbagliato. Se le stesse cose le avessero dette a Daniel Hackett, magari anche appendendolo al muro dello spogliatoio, sarebbe stato meglio per tutti.

Detto questo, sempre forza azzurri. La Nazionale resta sopra ogni cosa. E il basket si consola pensando al mondo del calcio e alla vicenda Tavecchio, in confronto alla quale il caso Hackett sembra uno solo uno scherzo.

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