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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2014 alle ore 06:37.
Quattrocentoduemila persone, in Spagna, hanno trovato un lavoro nel secondo trimestre del 2014. Era dal 2005, quando ancora il Paese iberico sembrava una veloce locomotiva economica, che non si vedevano tanti spagnoli trovare un impiego in un trimestre. Il tasso di disoccupazione resta a livelli da terzo mondo, ma quei 402mila lavoratori in più l'hanno ridotto dal 25,9% al 24,5%. Questo perché la Spagna è, attualmente, uno dei pochi Paesi europei che cresce: uscito dalla recessione nel secondo semestre dell'anno scorso, il paese iberico ha già registrato quattro trimestri consecutivi con il Pil in aumento. La banca centrale ha stimato un +0,5% nel secondo trimestre 2014, dopo il +0,4% del primo.
Più del differenziale tra i titoli di Stato, ormai ampiamente "drogato" dalle banche centrali e dai flussi di capitali in cerca di qualcosa su cui investire, è lo «spread» dell'economia che sembra segnare il divario tra Italia e Spagna. Il Pil italiano ha registrato un laconico -0,1% nel primo trimestre e la Banca d'Italia stima il secondo a zero. La disoccupazione da noi è ben più bassa rispetto a quella spagnola (12,6% a maggio), ma è in lieve aumento: in Spagna è invece scesa ai livelli dell'aprile 2012. La domanda interna resta fiacca (a maggio le vendite al dettaglio sono diminuite dello 0,7%), mentre in Spagna mostra segnali di ripresa (+0,5% a maggio e +0,2% a giugno): la crescita del Pil nel secondo trimestre, secondo la banca centrale, è stata infatti trainata dai consumi privati e dagli investimenti. Le esportazioni vanno bene in entrambi i Paesi (e sono il maggior volano per la tenuta del Pil), ma in Spagna vanno molto meglio: +8,1% a marzo, rispetto al +3,3% italiano.
Gli investitori dei mercati finanziari conoscono bene queste cifre. Sanno che la Spagna resta un Paese con elevati squilibri, con un tasso di disoccupazione eccessivamente elevato e con conti pubblici in deterioramento. Sanno che Madrid ha un deficit di bilancio ben più elevato di quello italiano. Sanno che non è affatto uscita dal guado. Alcuni mostrano anche qualche dubbio sulla natura di questa mini-ripresa economica. Ma comunque vedono i progressi. Ritengono passato il giro di boa. E vedono il governo Rajoy incassare, seppur con popolarità in calo, i primi dividendi delle sue dolorose riforme. La Spagna appare, agli occhi di chi investe, un Paese che ha ristrutturato il sistema bancario (anche inginocchiandosi a Bruxelles e chiedendo aiuti europei), che ha rimesso in moto il mercato del lavoro (seppur in maniera dolorosa) e che ha fatto molte riforme. E seppur con pesanti conseguenze sociali, appare un Paese che sta cercando di rialzarsi dalla crisi.
Invece l'Italia, pur essendo più forte economicamente e con un settore manifatturiero che la Spagna ci invidia, sembra ancora in panne. «Il mercato continua a dare per scontato che le riforme proseguano e che il Governo Renzi faccia quanto promesso – osserva Alberto Gallo, economista di Rbs –. Ma se per settembre-ottobre non si vedranno progressi tangibili, alcuni investitori potrebbero riallocare i propri capitali». Insomma: potrebbero decidere di uscire dal Paese e portare i soldi altrove. «L'Italia potrebbe tornare a superare la Spagna nelle preferenze degli investitori se iniziasse a mostrare forti segnali di crescita economica», sostengono invece gli analisti di Credit Suisse in un report recente.
Attualmente, infatti, gli investitori prediligono Madrid. Seppur di poco. I titoli di Stato spagnoli hanno un rendimento di 0,17 punti percentuali sotto quelli italiani (2,47% contro il 2,64% dei BTp decennali): a inizio aprile i rendimenti erano invece in pari. Ma la partita è sul filo del rasoio. Quella in economia anche.
m.longo@ilsole24ore.com
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