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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2014 alle ore 08:02.

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(Corbis)(Corbis)

Rispondi a una mail mentre discuti al telefono con un collega e magari stai andando a lavoro? Riesci a scrivere una relazione e intanto stai programmando l'agenda dei prossimi giorni? Sei in riunione e contemporaneamente in chat con un cliente e mandi un sms a un amico? Bene, sicuramente sei multi-tasking. Ma altrettanto sicuramente oltre a rischiare di commettere degli errori, stai lavorando peggio, più lentamente e in maniera meno efficace. Non solo: stai anche mettendo a dura prova le tue funzioni cerebrali.

Contrariamente a quanto suggerisce il senso comune e a quelle che ormai sono le richieste del mondo lavorativo, la ricerca scientifica è concorde (e questo non accade spesso): il multi-tasking non giova alla produttività. Ma non solo: a lungo termine le funzioni cerebrali possono addirittura essere danneggiate da un eccessivo multi-tasking. Gli psicologi che studiano i processi mentali che si verificano quando una persona cerca di realizzare più compiti contemporaneamente tendono a paragonare questa attività a una coreografia o al controllo del traffico aereo, sottolineando come in queste operazioni il sovraccarico mentale può portare alla catastrofe.

Questo, innanzi tutto, perché la mente umana non è disegnata per fare più cose insieme e, quindi, non le fa. Il primo punto fermo, infatti, è che il multitasking non esiste: quello che fa il nostro cervello è passare da una funzione all'altra, da un'attività all'altra.

E l'abitudine a questo switching non sembra dare risultati in termini di efficacia ed efficienza: in uno studio del 2009 il ricercatore di Stanford Clifford Nass ha messo a confronto le performance di 262 studenti catalogati secondo il loro livello di multi-tasking sui media (‘heavy' e ‘light media multi-taskers'). Un esperimento richiedeva di passare da una task all'altra, filtrando le informazioni rilevanti e utilizzando la memoria di lavoro. Nass e i suoi colleghi si aspettavano che gli studenti catalogati come ‘heavy media multi-taskers' ottenessero performance migliori dei ‘non-multi-taskers'. Hanno invece concluso esattamente l'opposto: gli ‘heavy multi-taskers' sono risultati peggiori in tutti e tre i compiti assegnati, sia quello di multi-tasking che quelli di semplice concentrazione. Questo perché gli ‘heavy multi-taskers' risultano maggiormente suscettibili alle interferenze derivanti da stimoli ambientali irrilevanti e quindi alle distrazioni. Nass e i suoi collaboratori hanno messo in evidenza nelle loro conclusioni che il media multi-tasking, un modello ormai acquisito sia in ambito lavorativo che privato, sta portando a un cambiamento nell'elaborazione delle informazioni e nell'esecuzione di compiti, i cui effetti a lungo termine soprattutto per i cosiddetti ‘nativi digitali' sono ancora tutti da studiare.

Ma come funziona il multi-tasking nel nostro cervello? In uno studio del 2010, i neuroscienziati dell'Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (Inserm) di Parigi hanno mostrato, grazie agli esperimenti realizzati con la risonanza magnetica funzionale (fMRI), che quando una persona si concentra contemporaneamente su due compiti, in realtà ogni parte del cervello si concentra solo su una di queste. Ogni volta che prestiamo attenzione si attiva un'area della corteccia prefrontale; quest'area, che include sia una parte destra che una sinistra del cervello, ha a che fare con il sistema motivazionale, aiuta a concentrare l'attenzione sugli obiettivi e coordina i messaggi con le altre aree cerebrali per portare a termine il compito. Quando eseguiamo un singolo compito, la parte destra e sinistra della corteccia prefrontale si attivano contemporaneamente, ma quando cerchiamo di portare a termine due task alla volta le due aree lavorano in maniera indipendente. In più, se i compiti da eseguire sono tre, gli scienziati hanno rilevato che i partecipanti all'esperimento tendevano a dimenticarne uno e commettevano tre volte gli errori commessi per fare solo due. Quindi, switchare tra due compiti, seppur meno efficace, è possibile, mentre cercare di portare a termine tre compiti contemporaneamente ci mette in guai seri. Le neuroscienze quindi dimostrano quello che già la ricerca psicologica aveva messo in evidenza negli anni passati: passare da un compito all'altro rallenta l'attività rispetto al ripetere lo stesso compito e affrontare numerosi compiti contemporaneamente moltiplica la perdita di tempo, fattore ancora più evidente in caso di compiti più complessi. Ma non è tutto: il multitasking può anche influenzare negativamente il sistema di apprendimento del cervello. Uno studio del 2006 degli psicologi dell'Università della California ha messo in evidenza che l'apprendimento realizzato in modalità multi-tasking è meno flessibile e più specializzato e rende le informazioni acquisite meno facilmente accessibili in un secondo momento. Gli esperimenti condotti con la risonanza magnetica funzionale hanno mostrato che quando si apprende senza distrazioni, nel processo viene coinvolto l'ippocampo, una struttura cerebrale fondamentale nell'immagazzinamento delle informazioni. Ma quando si apprende in modalità multi-tasking, l'ippocampo non si attiva, si attiva invece il corpo striato, normalmente coinvolto nelle performance abituali. L'apprendimento in multi-tasking, quindi, altera il normale processo cerebrale e questo potrebbe portare a una minore flessibilità nella capacità di utilizzo delle informazioni apprese e a una minore creatività del processo di apprendimento.

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