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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2014 alle ore 06:38.

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ROMA
«Mentre loro hanno finito il tempo, noi non abbiamo finito la pazienza. Grazie ai senatori che stanno sostenendo questa riforma #lavoltabuona». Così Matteo Renzi su twitter in serata, quando il clima a Palazzo Madama si andava via via rasserenando per la maggioranza. Almeno tre, infatti, le buone notizie di ieri per il premier e per la "sua" riforma dopo la drammatica giornata di martedì che ha visto il fallimento della trattativa e la conseguente rottura con il partito di Nichi Vendola. Intanto, come ricorda lo stesso Renzi nel suo tweet serale, è quasi finito il tempo concesso alle opposizioni per gli interventi in Aula. In secondo luogo – ed è la novità più importante giunta ieri da Palazzo Madama – la Giunta del regolamento, dopo una riunione di ben tre ore, ha giudicato legittimo il metodo del "canguro" anche per i Ddl di modifica costituzionale. Si andrà dunque avanti con lo sfoltimento in un sol colpo di centinaia o anche migliaia di emendamenti dal contenuto simile (come accaduto martedì, con la cancellazione di ben 1.400 emendamenti dopo la bocciatura di uno simile). Sfoltimento al quale ha contribuito, al netto del "canguro", anche lo stesso Grasso giudicando inammissibili tutta una serie di emendamenti-burla presentati a puro scopo ostruzionistico che chiedevano di rinominare in vari modi il Senato e la Camera (Curia nazionale, Adunanza, Ecclesia, Bulè oppure Dieta dei rappresentanti, Dieta nazionale eccetera).
Infine la maggioranza favorevole alle riforme (oltre al Pd e ai centristi di governo anche Forza Italia) ha retto ieri alla prova dei primi voti, segreti e palesi. Di particolare importanza politica la bocciatura da parte dell'Aula di un emendamento presentato dal senatore dissidente azzurro, Augusto Minzolini, che mirava a mantenere il bicameralismo perfetto e il Senato elettivo: i sì sono stati 117, i no 171 e gli astenuti 8. Subito dopo, bocciature a raffica per i numerosi emendamenti tendenti a introdurre il Senato elettivo nel Ddl Boschi-Delrio. Il punto politicamente più sensibile e più contestato dai dissidenti di Pd e Fi – ossia l'abolizione del Senato elettivo, che nel Ddl all'esame dell'Aula è sostituito da un Senato delle Autonomie eletto in secondo grado nell'ambito dei Consigli regionali – ha retto dunque alla prova del voto. Certo, non con la maggioranza dei due terzi necessaria ad evitare il referendum confermativo. Ma il ricorso al giudizio popolare è già stato messo in conto da Renzi, sicuro della popolarità della riforma.
Certo, ci sono ancora passaggi delicati, come quello di stamattina quando verrà messo a votazione – con scrutinio segreto – l'emendamento del senatore leghista Stefano Candiani che riduce a 500 i 630 deputati della Camera. Una piccola "vendetta" dei colleghi senatori che a detta dei capigruppo della maggioranza potrebbe passare all'ombra del voto segreto. Tanto che il governo sta seriamente pensando di lasciare su questo punto libertà di voto, rimettendosi all'Aula. Per evitare di andare sotto, certo, ma anche perché il premier è pronto ad accettare la provocazione: ridurre anche i deputati (i nuovi senatori saranno solo 100) non è certo una decisione che rischia l'impopolarità... In ogni caso il clima che si respirava ieri in Senato nella maggioranza era senz'altro più sereno, tanto che in molti si spingevano ad azzardare che la riforma verrà portata a casa la prossima settimana. E in questo caso gli emendamenti migliorativi già concordati nella maggioranza e che i relatori Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega) avevano intenzione di presentare in Aula durante le votazioni – immunità, poteri del Senato, modalità di elezione del presidente della Repubblica – potrebbero essere sacrificati all'altare delle tempistica: troppo importante per il governo riuscire a chiudere entro la pausa estiva. I miglioramenti, in caso, potranno poi essere apportati dalla Camera.
«Le riforme non sono il capriccio di un premier autoritario – ribadiva ieri Renzi ritornando alla vecchia formula delle e-mail –. Ma l'unica strada per far uscire l'Italia dalla conservazione, dalla palude, dalla stagnazione che prima di essere economica rischia di essere concettuale. Io non lascio il futuro ai rassegnati. Questa è la volta buona, costi quel che costi. Perché se l'Italia fa le riforme, riparte la credibilità verso il sistema Paese e la speranza dei cittadini». Riforme costi quel che costi, dunque. Con una promessa al Nuovo centrodestra e alla minoranza del Pd: l'Italicum già approvato alla Camera «sarà modificato dal Senato». Naturalmente tenendo ben fermo il patto del Nazareno e l'accordo con Forza Italia (si veda l'articolo qui sotto).
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