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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2014 alle ore 18:02.
L'ultima modifica è del 06 agosto 2014 alle ore 07:56.

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Nella foto l'Aula di Palazzo MadamaNella foto l'Aula di Palazzo Madama

Dopo il via libera al decreto Pa, l'assemblea di Palazzo Madama è tornata questo pomeriggio a votare la riforma del Senato e del Titolo V. Sui banchi del Governo le ministre Maria Elena Boschi e Stefania Giannini, fuori dall'Aula soltanto i Cinque Stelle. E il ritmo è serrato come ieri: sette articoli approvati in poche ore. Al punto che sono in molti ormai a credere di riuscire a chiudere giovedì: Matteo Renzi vede il traguardo vicino e sta valutando un intervento in Aula proprio dopodomani. «Siamo all'inizio di un cambiamento storico», ha detto oggi. E guarda al prossimo step: domani incontrerà Silvio Berlusconi per aggiornare il patto del Nazareno e concordare le modifiche all'Italicum.

Si lavora a modifiche sulle funzioni legislative e sul referendum
Oggi i lavori sono ripresi dagli emendamenti all'articolo 10 che riguarda le funzioni legislative di Camera e nuovo Senato. Ma, su richiesta dei relatori, la norma, insieme agli articoli 11 (iniziativa legislativa), 12 (procedimento legislativo) e 15 (referendum), è stata accaontanata per studiare modifiche. Il relatore di minoranza Roberto Calderoli (Lega) ha spiegato che «sull'articolo 10, che è il cuore della riforma ci sono una serie proposte sul tavolo e possiamo trovare una soluzione che soddisfi ampiamente l'Aula perciò vale la pena esperire ogni tentativo».

Stop ai decreti omnibus
Sono stati invece approvati rapidamente dall'assemblea gli articoli 13 (sul giudizio preventivo di costituzionalità delle leggi elettorali da parte della Consulta) e 14, sul potere del presidente della Repubblica di chiedere una nuova deliberazione alle Camere prima di promulgare una legge, anche limitatamente a specifiche disposizioni. La norma prevede anche che se il potere del capo dello Stato viene esercitato rispetto a un decreto legge, il termine per la conversione è differito di trenta giorni (dagli attuali 60 si passerebbe a 90). Via libera poi all'articolo 16, con cui si modifica l'articolo 77 della Costituzione sulla decretazione d'urgenza sancendo l'alt ai decreti omnibus («I decreti - recita la nuova norma - recano misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo»), trenta giorni in più e il divieto per il Governo di emanare decreti in materia di leggi elettorali, riforme costituzionali, ratifiche di trattati internazionali, bilanci e consuntivi. Disco verde anche all'articolo 17, che riformula l'articolo 78 della Costituzione affidando alla sola Camera la deliberazione dello stato di guerra.

Soltanto alla Camera il potere di concedere amnistia e indulto
Sì dell'Aula con soli 2 voti di scarto all'articolo 18 del testo, che assegna alla sola Camera dei deputati il potere di concedere con legge l'amnistia e l'indulto. Un via libera scontato dopo la bocciatura con voto segreto, l'ultimo sul ddl, dell'emendamento di Felice Casson (Pd), che ne prevedeva la soppressione: favorevoli alla modifica sono stati 141, con i Cinque Stelle rientrati per votarla, contrari 143 (più tre astensioni, che in Senato valgono come voti contrari). Governo e relatori si erano rimessi alla decisione dell'assemblea. Approvato anche l'articolo 19, che affida esclusivamente a Montecitorio la ratifica dei trattati internazionali e al 20, che distingue il potere di inchiesta parlamentare tra le due Camere: la Camera «può disporre inchieste su materie di pubblico interesse», il Senato solamente «su materie di pubblico interesse concernenti le autonomie territoriali».

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