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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2014 alle ore 06:38.
ROMA.
Il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, ha commissariato Bplus, la principale concessionaria in Italia nel settore delle slot machine. Ieri nella sede legale dell'impresa a Roma è stato notificato il decreto che dispone «la straordinaria e temporanea gestione» affidata a Vincenzo Suppa, generale in congedo della Guardia di finanza, commissario, e Luca Cristini e Stefano Sestili, subcommissari. Informato il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, il provvedimento è stato condiviso con il presidente dell'Anac (Autorità nazionale anticorruzione) Raffaele Cantone. Tanto da applicare una norma appena varata dal governo di Matteo Renzi (articolo 32 del decreto legge n. 90 sulla P.a., proprio ieri convertito in legge): se l'autorità giudiziaria procede per fatti gravi contro un'impresa destinataria di un appalto pubblico o una concessione, il numero uno dell'Anticorruzione propone al prefetto il commissariamento. Per salvaguardare l'occupazione - circa 300 posti di lavoro - e proseguire in questo caso con l'attività concessionaria di Bplus che, secondo alcune stime, frutta allo Stato quasi un miliardo di imposte l'anno.
A fine luglio la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio, tra gli altri, di Francesco Corallo, patron di Bplus, nell'inchiesta sui presunti finanziamenti sospetti della Banca popolare di Milano. Ma a far scattare la molla del commissariamento è stato soprattutto un altro fatto: la nota del 29 maggio scorso di Alfonso Rossi Brigante, ex magistrato della Corte dei Conti, nominato nel 2013 dalla stessa società «controllore» con poteri di monitoraggio e vigilanza, un garante della legalità insomma. In quella nota di maggio il magistrato ha detto che le sue funzioni di controllo di fatto si erano interrotte. Senza contare che il 21 luglio l'Agenzia delle Dogane e Monopoli ha reso noto che Bplus non aveva pagato il canone di concessione, pari a quasi nove milioni di euro. Ma la controffensiva legale della società di slot machine va avanti a colpi di sciabole affilate come rasoi. Al Tar del Lazio l'8 ottobre è fissata l'udienza di merito sul ricorso contro l'interdittiva antimafia della prefettura, oggi sospesa temporaneamente - sempre per gli interessi pubblici in gioco - fino alla fine dell'anno, ma non revocata come chiede l'azienda. Tar e Consiglio di Stato, però, hanno già rigettato l'istanza di sospensiva dell'interdittiva.
I legali dell'azienda, tuttavia, hanno deciso di giocare su altri tavoli giudiziari con due mosse clamorose. Gli avvocati Bruno Capponi e Domenico Di Falco hanno citato in giudizio davanti al tribunale civile di Roma il ministero dell'Interno, nella persona del ministro, e il prefetto Pecoraro, per i presunti danni aziendali subìti dall'interdittiva. La richiesta di risarcimento è enorme, oltre 530milioni di euro: mai un ministro dell'Interno né tantomeno un prefetto erano stati citati per danni pari a un importo così rilevante. Poi, con un raddoppio di marcatura, sempre agli inizi del mese scorso lo studio legale londinese Hierons, per conto di Bplus, ha chiesto al prefetto di Roma di revocare i provvedimenti: in caso contrario, avvertono i legali inglesi, si rivolgeranno all'Alta Corte di Londra.
La sfida Stato-Bplus, che annovera anche un contenzioso davanti alla Corte dei Conti, assume così i contorni di un legal thriller internazionale con cifre da capogiro.
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