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Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2014 alle ore 14:35.
L'ultima modifica è del 10 agosto 2014 alle ore 14:36.

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Ma questo mese d'agosto è anche iniziato col default dell'Argentina, dovuto alla decisione del giudice distrettuale di New York Thomas Griesa, che ribadisce quella del novembre 2012, non riformata dalla Corte d'Appello né dalla Corte Suprema, già da me qui ampiamente commentata nell'editoriale dell'epoca. La ristrutturazione del debito argentino con l'emissione, nel 2005 e 2010, di nuovi titoli (Exchange Bonds) con sconto del 70%, era stata accettata da circa il 93% degli investitori. Gli interessi su questi titoli, da versare a scadenza sono ora depositati presso la Bank of New York Mellon. Il giudice Griesa ha tuttavia vietato il loro pagamento se il Governo argentino non paga prima per intero il gruppo dei portatori dei titoli esclusi dall'accordo. Questi non sono altro che i "fondi avvoltoi" (Vulture Funds), che hanno acquistato quei titoli a prezzo vile dopo l'annunciata ristrutturazione del debito e probabilmente si arricchiranno ulteriormente, essendosi assicurati contro il nuovo default attraverso la stipulazione di credit default swaps.

Il diritto sembra così aiutare la speculazione degli avvoltoi e il dislivello delle ineguaglianze, provocando un danno enorme per i mercati globali dei debiti sovrani e per i Paesi che da loro dipendono.
Eppure, il noto giurista di Yale Jonathan Macey, ha giustificato pienamente, sotto lo stretto profilo giuridico, la decisione del giudice Griesa. L'Argentina al momento dell'emissione dei bonds ha sottoscritto un contratto e la ristrutturazione del debito che, pur accettata dalla stragrande maggioranza dei debitori, non vincolava l'esigua minoranza. L'Argentina avrebbe potuto inserire nel contratto una clausola in tal senso, o disciplinarlo secondo il suo ordinamento, invece che quello degli Stati Uniti, ma questa alternativa l'avrebbe costretta ad aumentare i tassi di interesse. È giusto quindi che se non paga i "Vultures" vada ora in default. Questa è la legge dei contratti!
Ma allora che fare? La soluzione sopra indicata, di una disciplina fallimentare globale per i debiti sovrani, ad imitazione di quella privata a me pare invece un modello proprio inadeguato e da evitare. I vari modi per sottrarsi alle procedure fallimentari, dal "too big to fail" per le banche ai porti sicuri "safe harbours" che garantiscono i creditori di contratti derivati di sostituire il credito, per non entrare nel passivo fallimentare, e impadronirsi dei beni collaterali del derivato, stanno, infatti, sottoponendo ad aspre critiche la legge fallimentare americana.

È pur indubbio che, negli anni 80, quando i debiti sovrani erano soprattutto nelle mani delle banche, le ristrutturazioni potevano realizzarsi con meno problemi. Ma l'espandersi incontrollato dei mercati dei capitali, nonché l'ammontare enorme e pericoloso dei derivati e dei Cds, hanno provocato, contro l'insolvenza degli Stati, a carico dei cittadini sempre più poveri e disagiati, l'enorme ricchezza per pochissimi.
La conclusione, a parer mio, è che le riforme del diritto cosmopolitico riguardano certamente anche una nuova disciplina per i debiti sovrani, la quale, tuttavia, deve essere inserita nell'ambito di sempre più urgenti rinnovati ordinamenti dei mercati finanziari, tesi a riportare le norme giuridiche al posto della selvaggia libertà contrattuale, alimentata dalla speculazione di banche ombra (shadow banks) e di una serie sempre più numerosa di strumenti finanziari opachi.
Insomma, per uscire dalla crisi, bisogna ridare certezza e dignità al diritto ed evitare che, con l'aiuto di una dirompente tecnologia, diventi sia strumento principe della speculazione finanziaria, sia vittima di principii ispirati ad alimentare profonde rischiose disuguaglianze e asimmetrie estranee alla nostra cultura e civiltà.

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