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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2014 alle ore 19:08.

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L'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro - che sta scontando la condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d'ufficio aggravati dall'aver aiutato Cosa Nostra - non ha diritto di chiedere la "correzione" della pena inflittagli perchè l'aumento di pena deciso in appello e confermato dalla Suprema Corte non ha ecceduto i limiti previsti dalle norme ed anzi è ben inferiore al massimo consentito. Lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza n. 35464 della Prima sezione penale depositata oggi e relativa all'udienza svoltasi il primo aprile. Dopo la decisione con la quale il Tribunale di sorveglianza di Roma lo scorso 20 dicembre ha negato l'affidamento di Cuffaro ai servizi sociali, è questa la seconda volta che l'ex governatore vede deluse le sue speranze di uscire in anticipo dalla cella del carcere romano di Rebibbia dove è detenuto.

La condanna si era appesantita per il riconoscimento dell'aggravante mafiosa
Con il ricorso alla Suprema Corte, affidato all'avvocato Antonino Mormino, Cuffaro ha sostenuto che era "eccedente" l'aumento di pena di due anni inflittogli in secondo grado, e confermato il 21 febbraio 2011 dalla stessa Cassazione, che aveva portato a sette anni di reclusione la pena di primo grado pari a cinque anni e relativa alle due contestazioni di favoreggiamento e alle due accuse di rivelazione. Su ricorso della Procura, la condanna per l'ex governatore si era appesantita a seguito del riconoscimento dell'aggravante mafiosa per aver aiutato l'imprenditore della sanità Michele Aiello e il boss Giuseppe Guttadauro a sottrarsi alle indagini della Procura di Palermo. L'avvocato Mormino ha contestato gli aumenti ma i supremi giudici hanno bocciato "tutte" le sue "prospettazioni". «

L'incremento della pena era ben al di sotto del massimo del triplo consentito
Esula dal caso in esame - scrive la Cassazione - la pur evocata illegalità della pena parziale e finale, dato che la sanzione di anni cinque di reclusione, determinata per il delitto più grave (favoreggiamento), è stata aumentata di un anno per il reato di rivelazione di segreti di ufficio e complessivamente, per i tre reati in continuazione, di anni due donde la pena definitiva di anni sette, con un incremento, quindi, ben al di sotto del massimo del triplo consentito dall'art.81, commi primo e secondo del codice penale».

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