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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2014 alle ore 06:37.

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L'intesa agostana auspicata da Ncd servirà per rilanciare l'iter del Jobs act partendo dal famoso «emendamento centrista» di metà luglio. Che cosa prevedeva? Prima di fermare il confronto sull'articolo 4 del Ddl delega (riordino delle forme contrattuali) i capigruppo dell'area di centro della maggioranza, ovvero di Scelta civica, Nuovo centro destra, Popolari per l'Italia e gruppo per le Autonomie, avevano sottoscritto un emendamento che delega al Governo ad adottare entro sei mesi un decreto legislativo con un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro, con il contratto a tempo indeterminato a protezione crescente senza alterare l'attuale articolazione delle tipologie contrattuali.
Una delega ampia, che può portare a due risultati diversi quando si scriverà il decreto delegato, previsto entro sei mesi dal varo della legge delega. Il primo: per il contratto a tempo indeterminato in caso di licenziamento non scatterebbe mai più la tutela reale dell'articolo 18 (confermata solo per i casi di discriminazione) ma arriverebbe il pagamento di un indennizzo d'importo crescente in base all'anzianità di servizio. Il secondo: si introduce un contratto nuovo (diciamo d'inserimento) che per il periodo iniziale prevede un congelamento dell'articolo 18 versione Fornero, che poi però entrerebbe in vigore. Nel cosiddetto periodo di prova si prevedono forme di indennizzo o (a seconda delle scelte) l'indennità di disoccupazione. Il Pd è per questa seconda ipotesi, come ha chiarito due giorni fa il responsabile economico del partito, Filippo Taddei. Angelino Alfano punta invece sulla prima.
Di sicuro a questo punto del confronto interno alla coalizione l'elemento unificante è il fattore tempo. Si deve correre per approvare il ddl delega entro l'anno (al Senato è solo in prima lettura e si vuol chiudere in settembre). Tutti gli altri articoli del testo sono stati esaminati, con il sostanziale via libera sulle deleghe in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive, semplificazione delle procedure e degli adempimenti, maternità e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Si tratta dunque di capire come si chiuderà il confronto di questi giorni. Sapendo che, come ha ricordato ieri la Cgia di Mestre, l'articolo 18 vale per il 2,4% delle aziende (quelle con più di 15 addetti) e il 57,6% dei lavoratori dipendenti occupati nel settore privato dell'industria e dei servizi, ovvero 6,5 milioni su oltre 11 milioni di operai e impiegati.
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DISCRIMINAZIONI
Licenziamento sempre nullo
L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che tutela dai licenziamenti senza giusta causa, è stato modificato dalla la riforma Fornero due anni fa. Tuttavia, non è stata cambiata la norma che annulla il licenziamento discriminatorio intimato, per esempio, per ragioni di credo politico, fede religiosa o attività sindacale.
MOTIVI DISCIPLINARI
Reintegro previsto da contratti
La legge Fornero ha previsto delle modifiche per i licenziamenti disciplinari illegittimi. In questo caso è prevista una minor discrezionalità del giudice nella scelta del reintegro sul posto di lavoro, che è deciso solo sulla base dei casi previsti dai contratti collettivi e non anche della legge.
MOTIVI ECONOMICI
Reintegro per insussistenza
Nel nuovo articolo 18, non c'è più il reintegro automatico in caso di licenziamento illegittimo, nelle aziende con più di 15 dipendenti, per motivi economici (rimane solo nel caso di manifesta insussistenza). Mentre è prevista solo un'indennità in caso di motivazioni giudicate insussistenti.

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