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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2014 alle ore 06:38.

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ERBIL. Dal nostro inviato
L'ultima cosa che può desiderare l'Iran è una guerra tra sciiti in Iraq, dove di conflitti ce ne sono già abbastanza e l'avanzata del Califfato dei jihadisti sunniti rischia di sgretolare quel che rimane di una nazione in pezzi. La vera sentenza politica sul futuro del primo ministro iracheno sciita Nouri al Maliki non l'hanno quindi emessa i giudici dell'Alta corte di Baghdad ma gli ayatollah di Teheran.
L'Iran ieri ha voltato le spalle al suo alleato e protetto, lanciato in un rovinoso tentativo di golpe, benedicendo la nomina del suo successore Haider al Abadi, indicato dal presidente curdo Fouad Masum: questa è la svolta più attesa e forse decisiva per tentare di rimettere ordine nel caos che regna nella capitale irachena assediata dal Califfato.
Il verdetto iraniano è venuto da Ali Shamkhani, segretario del potente Consiglio di sicurezza nazionale - rappresentante della Guida Suprema Ali Khamenei e in ottimi rapporti con il presidente Hassan Rohani - che si è pubblicamente congratulato per la scelta dell'ingegnere Haider Abadi, un altro sciita, già ministro e attuale vice speaker del Parlamento, che era stato sostenuto a spada tratta dagli Stati Uniti, profondamente delusi da Maliki e assai irritati perché l'ex premier due giorni fa aveva fatto schierare minacciosamente le forze speciali a pochi passi dall'ambasciata americana nella Green Zone. Un affronto insostenibile per Washington che aveva chiesto più volte a Nouri al Maliki di trovare una soluzione politica alla crisi irachena includendo nel governo esponenti della minoranza sunnita, esasperata e insofferente nei confronti del premier e il cui appoggio in questo momento è strategico per sottrarre consensi e sostegno all'avanzata dei jihadisti.
È stata l'alleanza tra le tribù sunnite e gli ex baathisti che ha permesso alle truppe integraliste del Califfo Abu Bakr Baghdadi di consolidare la sua presenza a Falluja e Ramadi per poi mettere a segno successi clamorosi come la conquista di Mosul, la seconda città irachena, e proiettarsi a sud fino alle porte di Baghdad e a Nord nel Kurdistan iracheno. Ma se in Kurdistan i jihadisti affrontano la resistenza e ora la controffensiva dei peshmerga curdi appoggiati dall'aviazione americana, nel cuore dell'Iraq l'Isil di Baghdadi ha avuto gioco facile a mettere in fuga l'esercito. Nelle forze armate le uniche unità affidabili sono le truppe speciali che vengono utilizzate dai politici in carica come una sorta di guardia pretoriana. Ed è su queste formazioni, oltre che sulle molteplici milizie sciite, che ha contato Nouri al Maliki per tenere sotto pressione gli avversari.
La questione Maliki non appare ancora risolta. «È proprio quando è messo all'angolo che Maliki può rivelarsi più pericoloso» afferma Hayder Khoei, nipote di un Grande Ayatollah, il cui padre venne assassinato nel 2003 a Najaf, probabilmente da sicari di Moqtada Sadr, un altro religioso che fu capo delle famigerate milizie del Mahdi e guidò la rivolta anti-americana del 2004. Certamente all'ex premier non ha giovato affrontare la contestazione di alcuni dei mullah sciiti più importanti tra quali l'ayatollah Ali Sistani. Ma queste considerazioni illuminano soltanto con un lampo fugace le zone più oscure sul significato di un'eventuale esplosione di un conflitto all'interno del mondo sciita. In poche parole una totale anarchia a vantaggio del Califfo.
La svolta della nomina di Abadi con ogni probabilità porterà gli americani a dare il via agli aiuti militari richiesti da Baghdad (mentre anche Berlino apre all'invio di aiuti, seppure da discutere e definire in sede europea) per fermare le milizie dello Stato Islamico. I bombardamenti dei caccia americani sono fondamentali ma non bastano a frenare il Califfato che può contare anche nella capitale sulla complicità di quinte colonne come dimostrano le due autobombe esplose ieri a Baghdad, di cui una nel quartiere di Karrada vicino alla casa del nuovo premier Abadi: una decina i morti.
Di Maliki, se uscirà di scena, gli americani ricorderanno un episodio quasi picaresco: nel 2007 doveva siglare, pur non essendo d'accordo, un documento Usa-Iraq con George Bush. Passo così la penna sul foglio fingendo di firmare davanti alle telecamere. Quasi inutile aggiungere che gli americani se ne accorsero soltanto dopo, a cerimonia conclusa.
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IL NUOVO PREMIER
Chi è l'ingegner al Abadi
Haidar al Abadi, esponente della componente sciita irachena, è stato incaricato dal presidente Fuad Masum di formare il nuovo governo in Iraq
Nato a Baghdad nel 1952, una laurea in ingegneria elettronica, ha conseguito un dottorato all'Università di Manchester, in Gran Bretagna, dove ha vissuto per diversi anni. La sua famiglia era infatti nel mirino del regime di Saddam Hussein
Politico di lungo corso ed esponente di spicco del partito sciita al Dawa, lo stesso del premier uscente Nouri al Maliki, di cui entrò a far parte alla fine degli anni 60, al Abadi ha ricoperto numerosi incarichi al vertice dello Stato, pur senza avere mai grande visibilità
Finora vicepresidente del Parlamento iracheno, dove siede come deputato dal 2005, è stato portavoce del partito Dawa, mentre tra il 2005 e il 2006 ha ricoperto il ruolo di consigliere politico dell'ex primo ministro Ibrahim Jaafari

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