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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2014 alle ore 06:38.

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E adesso? Che cosa farà adesso Luca Zaia dopo l'impugnazione davanti alla Corte costituzionale dei due referendum consultivi, uno sull'indipendenza e l'altro sull'autonomia, approvati a maggioranza dal consiglio regionale del Veneto nella primavera scorsa? Il tema mobilita le opinioni dei costituzionalisti. Parlare di autonomia mentre a Roma si discute della riforma del titolo V della Costituzione, di una gerarchia tra centro e periferia incardinata sul ruolo preminente dello Stato e sulla formula perentoria «dell'interesse nazionale», può apparire fuori luogo. E invece un'architettura che riporti un po' di ordine nel conflitto tra legislazione esclusiva e concorrente, sancita dal vecchio impianto del titolo V, può riaprire una questione, quella dell'autonomia veneta, che come un fiume carsico attraversa tutte le stagioni di questa regione-laboratorio.
Zaia, all'indomani dell'impugnazione dei due referendum per mano del ministro degli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta, ha rilasciato dichiarazioni di fuoco: «Si tratta di un sopruso al quale ci opporremo con tutte le nostre forze». E continua: «Roma, il governo e lo Stato con i suoi potenti apparati vogliono negare ai veneti e a loro rappresentanti eletti nel consiglio regionale di esprimere una scelta, una volontà». Affermazioni alle quali fanno seguito quelle più diplomatiche del presidente del Consiglio regionale, Clodovaldo Ruffato: «Comprendo l'impugnativa sulla legge regionale 16 (referendum sull'indipendenza, primo firmatario l'ex Udc Stefano Valdegamberi, ndr) perché era stato fatto presente che insistevano elementi di incostituzionalità, ma non capisco affatto l'impugnazione della legge regionale 15 sul referendum sull'autonomia: al governo c'è qualcuno che non capisce le istanze del Veneto e ci prende in giro!». Parole forti, ma, per l'appunto, parole. Molti osservatori rilevano che nessun alto esponente del governo regionale abbia mosso un dito in attesa dell'intervento a gamba tesa, ampiamente scontato, da parte dell'Esecutivo. Dice Mario Bertolissi, costituzionalista all'ateneo patavino e allievo di Livio Paladin, padre del diritto regionale italiano: «La Costituzione su questo tema parla chiaro. È il Parlamento che deve concedere l'autonomia alle Regioni che lo chiedono. E per farlo è indispensabile avviare un negoziato tra Venezia e Roma, senza il quale, alla luce della giurisprudenza in materia, lo Stato continuerà a sollevare e a vincere il conflitto davanti alla Consulta, come peraltro è già accaduto nel 1992 e nel 2000. Il Veneto, in ogni caso, dovrebbe far leva sulla libera manifestazione del pensiero che è intrinseca a ogni referendum consultivo. Un valore tutelato dalla Carta costituzionale». Sullo stesso piano Stelio Mangiameli, ordinario di Diritto Costituzionale e direttore dell'Istituto di studi regionali federali e sulle autonomie del Cnr: «Il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione ha sempre offerto la possibilità di variare l'autonomia delle regioni. A patto che si avvii un processo politico».
Mangiameli, a proposito del plebiscito del 1866 che sancì l'ingresso del Veneto in Italia, cita un passo del Gattopardo: «Si trattò dappertutto di plebisciti truffa. Con la differenza che in Veneto furono conteggiati 69 voti contro, mentre in Sicilia, come ricorda il principe di Salina, non ci fu neppure un oppositore, segno dell'adesione acritica del popolo siciliano».
A complicare la situazione veneta ci sono i tempi tecnici per la pronuncia della Consulta, che di solito emette le sentenze un anno dopo l'impugnazione. Ma in Veneto in primavera si vota per rinnovare il Consiglio regionale. Se l'esito è scontato, come tutti sembrano orientati a credere, a Zaia, candidato per il Centro-destra a un secondo mandato, rimangono due sole possibilità: o cavalcare il tema dell'autonomia nella lunghissima campagna elettorale, oppure forzare la mano e indire il referendum in parallelo con le regionali, riducendo drasticamente il costo della consultazione.
A favore dello strappo ci sarebbero anche gli imprenditori veneti. In un sondaggio della Fondazione Nord-Est, su un panel di 155 industriali, oltre il 95% si è espresso a favore di una più incisiva autonomia, in pratica lo statuto speciale, che potrebbe valere 20 miliardi in più nelle casse regionali. Ampia la maggioranza degli imprenditori pro euro, a dispetto delle letture catastrofiste di una minoranza che sostiene la fuoriuscita dalla moneta comune. Il fronte dell'euro e dell'adesione alla Nato accomuna anche gli indipendentisti di Plebiscito.eu. Un segno di maturità che ora toccherà a Zaia e ai componenti del consiglio regionale tradurre in azioni concrete.
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