Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 14 agosto 2014 alle ore 07:54.

FRANCOFORTE. Non ci sono commenti dall'Eurotower sull'incontro di martedì a Città della Pieve fra il presidente della Bce, Mario Draghi, e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ma a Francoforte si accetta con una sorta di rassegnata ineluttabilità che ogni contatto di Draghi con la realtà politica italiana sia destinato a suscitare controversie.
L'incontro non era inserito nell'abituale agenda pubblica dei membri del direttorio della Bce, come avviene invece regolarmente per le riunioni bilaterali del presidente con altri capi di Governi europei, come per esempio il cancelliere tedesco Angela Merkel, che Draghi vede con una certa regolarità per confrontarsi sui temi europei. È probabile che a Francoforte non abbia fatto particolarmente piacere che Renzi abbia detto di Draghi, «Lo vedo spesso», dato che la Bce ha sempre preferito non dare pubblicità a questi incontri e anzi tenere il presidente, per il suo peso nel panorama italiano, fuori da ogni possibile polemica sulla situazione italiana. Se la segretezza risulta quindi anomala in rapporto ad altri confronti con leader europei, trova una motivazione nella precisa intenzione di Draghi di evitare di ritrovarsi schierato nell'una o nell'altra vicenda italiana.
Il merito è in questo caso meno controverso delle modalità. Giovedì scorso, in conferenza stampa, il presidente della Bce ha detto due cose per sua stessa ammissione non nuove, ma che acquistano un significato importante nell'attuale situazione italiana. La prima è che non si può fare marcia indietro nel risanamento dei conti pubblici e che il Patto di stabilità, quindi la disciplina fiscale, va applicato così com'è. La seconda, che Draghi ha indirizzato esplicitamente all'Italia, contrariamente alla sua abituale riluttanza a pronunciarsi sul suo Paese, è che l'assenza di crescita è dovuta in larga misura all'insufficienza di investimenti e questi a loro volta vanno attribuiti all'incertezza sulla realizzazione di riforme strutturali (puntualmente elencate, come in altre occasioni: mercato del lavoro e dei prodotti, liberalizzazioni, burocrazia, giustizia). Su questo punto, il presidente della Bce già il mese scorso a Londra aveva proposto che, per aiutare i Governi a fare le riforme, vada adottato un modello di governance europea, come quello applicato alla politica fiscale, in cui la sovranità venga "condivisa", altro punto che ha suscitato polemiche in Italia assai più che altrove.
Sono considerazioni che cadono in un momento delicato per l'Italia, quando la percezione delle autorità europee e dei mercati finanziari è che le riforme promesse dal Governo Renzi in materia economica si siano incagliate e il quadro dell'economia abbia subito un peggioramento: nuova caduta in recessione, con inevitabile ripercussione sul deficit pubblico, e ulteriore calo dell'inflazione fin sull'orlo della deflazione. L'Italia è quindi tornata a essere motivo di preoccupazione in Europa e sui mercati e di questo il richiamo del presidente della Bce è una logica conseguenza.
La Francia viene vista peraltro in una posizione anch'essa scomoda, tanto che ieri il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, in un'intervista a "Le Monde" ha ricordato al Governo Hollande l'importanza di dare l'esempio in Europa, soprattutto sui conti pubblici, e di non fare appello a un euro debole. La Germania è stata messa da Draghi su un piano diverso, la sua frenata attribuita a fattori statistici e temporanei, ma gli ultimi dati e sondaggi sollevano qualche interrogativo in più sul vigore dell'economia tedesca. Il deterioramento della situazione in Europa viene visto a Francoforte come una ragione in più perché l'Italia acceleri i tempi delle riforme economiche.