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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2014 alle ore 19:19.
L'ultima modifica è del 15 agosto 2014 alle ore 09:49.

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NEW YORK - La "guerra" a Ferguson non si placa e scuote l'America. Giorni di proteste e scontri con la polizia, scatenate dall'incomprensibile uccisione di un ragazzo afroamericano da parte di un agente bianco, hanno costretto il mondo politico americano a mobilitarsi con crescente decisione per cercare di controllare l'escalation di una crisi esplosa in un piccolo sobborgo di St. Louis, nel Missouri. Ma che ne ricorda da troppo vicino tante, troppe altre, ricorrenti, a sfondo razziale e sociale negli Stati Uniti.

Il presidente Barack Obama ha fatto sapere di aver incaricato il Dipartimento della Giustizia e l'Fbi di indagare sulla tragedia, con toni pacati. Ha invitato i dimostranti alla calma, come le forze dell'ordine alla trasparenza e a evitare arresti di giornalisti, avvenuti nelle ultime ore. «Non ci sono scuse» per un «uso eccessivo della forza» da parte della polizia. Obama ha sottolineato che la polizia non dovrebbe ricorrere alla forza con i giornalisti che fanno il loro lavoro.

Il governatore del Missouri da parte sua ha annunciato una visita nella cittadina sconvolta. Vuol chiedere il ritiro delle forze di polizia locale, finite nell'occhio del ciclone per la loro violenza. Invoca un cambiamento nei metodi. E forse, per cercare di superare un clima di altissima tensione, una sostituzione con agenti federali.

Ma nelle ultime ore, con il moltiplicarsi di scontri tra dimostranti e forze dell'ordine schierate con arsenali da guerra irachena, nel sobborgo della storica città di St. Louis la crisi è rimasta una ferita aperta, capace di gettare nuove cupe ombre sul sogno di Obama di un'America post-razziale. Sono finiti in manette anche due giornalisti, uno del Washington Post, colpevoli di aver filmato il comportamento dei poliziotti. Sotto tiro anche un troupe della televisione Al Jazeera. Mentre nel clima sempre più pesante, gli hacker di Anonymous hanno rivelato la presunta identità e foto del poliziotto-sparatore all'origine dell'esplosione, ma le autorità hanno smentito. Tuttavia la polizia di Ferguson, visto il clamore e le proteste suscitate dal caso, ha deciso di rendere noto oggi il nome dell'agente che ha sparato.

La presa di coscienza della gravità della crisi, forse tardiva, è stato anticipata dal deputato democratico del Missouri William Lacy Clay, che ha parlato con il governatore Jay Nixon, a sua volte democratico, e che da giorni invoca l'intervento diretto del Dipartimento della Giustizia dell'amministrazione Obama per far luce e giustizia nella tragedia. «Il peggioramento della situazione a Ferguson è estremamente inquietante», ha fatto sapere Nixon in una presa di posizione che critica apertamente la polizia locale. «Non rappresenta chi siamo. Rispettiamo la solenne responsabilità delle nostre forze dell'ordine, ma occorre anche proteggere i diritti dei cittadini di riunirsi protestare pacificamente e il diritto della stampa di riportare su questioni di interesse pubblico». Clay ha incalzato: «Non avremo mai giustizia per Michael Brown e la sua famiglia se la polizia e la procura locale resteranno in carica».

Brown era il giovane di 18 anni che il 9 agosto, mentre con un amico si recava dalla nonna, è stato freddato per strada da un poliziotto ancora non identificato. Ucciso «come un animale», ha raccontato l'amico. Mentre alzava le mani in segno di resa. La polizia difende, per ora, una sua versione ufficiale: Brown avrebbe avuto una collutazione con l'agente. Ma simili tragedie accadono troppo spesso su strade costellate di vittime all'ombra, spesso, di malcelato razzismo e tensioni sociali. È ancora fresca nella memoria del Paese l'uccisione nel febbraio 2012 di un altro ragazzo afroamericano disarmato , Trayvon Martin, da parte di una guardia giurata che aveva deciso di pedinarlo ritenendolo sospetto.

A St. Louis la crisi è stata aggravata da una lunga storia di incomprensioni razziali. Ferguson è un sobborgo di 21.000 residenti per oltre due terzi afroamericani, frutto dell'esodo dei bianchi. Ma con soli tre poliziotti di colore su 53 e con un solo consigliere comunale afroamericano su sei. Le forze dell'ordine, oltretutto, da qualche anno sono armate fino ai denti, una capacità militare tanto elevata quanto si è invece rivelata inadeguata la loro abilità, assieme a quella delle autorità locali, di gestire le crisi.

Il problema dell'ordine pubblico è parte di un dibattito nazionale: la polizia negli Stati Uniti ha ereditato interi arsenali dalla guerra in Iraq, per un valore di 4,3 miliardi di dollari. Dal 2006 il New York Times ha rivelato che le forze dell'ordine locali hanno ricevuto ben 435 veicoli corazzati, 533 aerei, quasi 94.000 mitragliatori e 432 veicoli anti-mina.

Questi ultimi sono stati ancora stati usati oggi per pattugliare le strade della protesta. Le immagini arrivate da Ferguson sono parse quelle di una cittadina occupata, gli agenti in completa divisa militare indistiguibili da soldati in prima linea, fucili mitragliatori in spalla, lacrimogeni e blindati. Ma se una soluzione militare manca in Iraq, è sicuramente impossibile e tragica sulla frontiera razziale americana, che oggi passa per le strade messe a ferro e fuoco di Ferguson, Missouri.

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