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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2014 alle ore 19:51.
L'ultima modifica è del 18 agosto 2014 alle ore 20:10.

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Papa: mi piacerebbe andare in Cina «con grande rispetto»
E poi ha aggiunto: «Lei vuole sapere se io ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro, mi piacerebbe andarci già domani. Sempre la Santa Sede è aperta ai contatti con Pechino: sempre, perchè ha grande stima e rispetto per il popolo cinese». Papa Francesco risponde con queste parole alla domanda di un giornalista, posta proprio mentre l'aereo partito poco prima da Seul sta volando sul territorio della Repubblica Popolare Cinese. È la seconda volta che Francesco, primo Pontefice a farlo, sorvola il grande paese asiatico. «Mercoledì - racconta il Papa - quando stavamo per entrare sullo spazio aereo cinese mi trovavo in cabina con i piloti, che mi hanno detto: «Mancano 10 minuti per entrare sul territorio cinese e dobbiamo chiedere l'autorizzazione». Così ho sentito come chiedevano e come si rispondeva. Sono stato testimone di questo. Il pilota ha anche mandato il mio telegramma di saluto. Poi mi sono congedato e, una volta tornato al mio posto, ho pregato tanto per quel bel popolo cinese, un popolo nobile e saggio, che ha una storia di scienza e saggezza, alla quale parteciparono anche i gesuiti con padre Matteo Ricci».
«Noi - tiene a chiarire il Pontefice - rispettiamo il popolo cinese, solo che la Chiesa chiede libertà per il suo mestiere, il suo lavoro». Infine, Francesco esorta a non dimenticare la lettera «fondamentale» indirizzata da Papa Benedetto XI ai cattolici cinesi. «Oggi - assicura - questo testo e' ancora di attualità e fa bene rileggerlo».

Il vertice di preghiera Abu Mazen-Peres non è fallito
«Quella preghiera assolutamente non è stata un fallimento». Papa Francesco replica sicuro alla giornalista del quotidiano cattolico La Croix che - sull'aereo da Seul - parla di «fallimento» perche' subito dopo il vertice di preghiera per il Medio Oriente, che si è tenuto in Vaticano, e' esplosa la crisi di Gaza. «L'iniziativa - ricorda il Papa - non e' uscita da me, ma dai due presidenti, l'israeliano Shimon Peres e il palestinese Abu Mazen: loro mi hanno fatto arrivare questa inquietudine. Questi due uomini sono credenti, sono convinti».
«Volevamo - rivela Francesco - che l'incontro per pregare si realizzasse già durante la mia visita in Terra Santa ma non si trovava il posto giusto: il costo politico di andare dall'altro sarebbe stato troppo alto per ciascuno dei leader, e anche in nunziatura non era facile: il presidente palestinese avrebbe dovuto attraversare Israele». «Così - continua Francesco - abbiamo deciso di incontrarci tutti in Vaticano, invitando anche Bartolomeo, il patriarca ecumenico, non dico il capo dell'ortodossia perché sarebbe usare termini che forse non piacciono a tutti. Ma e' stato bene ci fosse. Si deve pregare perche' si segua la strada del negoziato».
«Certo - conclude Francesco accennando all'invasione di Gaza seguita all'uccisione dei tre ragazzi ebrei - poi e' arrivato quel che e' arrivato. Ma e' qualcosa di congiunturale. L'incontro di preghiera non lo era: e' stato un passo fondamentale perche' si e' aperta una porta. Il fumo delle bombe ora non lascia vedere la porta aperta. Ma io credo in Dio e credo che quella porta e' stata aperta».

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