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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2014 alle ore 06:54.
L'ultima modifica è del 19 agosto 2014 alle ore 12:50.

Il nostro Paese, nonostante i declassamenti delle agenzie di rating, può contare ancora su molte ricchezze: la bellezza e la varietà del paesaggio, la qualità del cibo, la miriade di opere d'arte sparse in mille borghi, la tradizione musicale, il valore delle Pmi, le eccellenze in alcuni comparti industriali e nella ricerca univesitaria. Nessuna di queste però renderanno mai l'Italia influente a livello globale. Almeno secondo i parametri stabiliti dal giornalista Joel Kotkin della rivista Forbes, in collaborazione con il geografo Ali Modarres, l'analista di Accenture Aaron Renn e il demografo Wendell Cox, che nella classifica delle città più influenti al mondo ha eletto Londra come la metropoli con "più peso", seguita da New York e Parigi.
Cosa manca dunque alle nostre metropoli, Milano e Roma, per contare? Non la loro densità di popolazione. Anche se le due città italiane non raggiungono nemmeno sommate gli otto milioni e mezzo di abitanti della capitale inglese (è la città più popolosa d'Europa) il numero dei cittadini non è un valore che è stato preso in considerazione dal professor Kotkin. Londra però vince perché attrae i ricchi indiani, russi, arabi che l'hanno scelta come loro rifugio, i giovani o i professionisti che continuano a preferirla ad altre mete per iniziare o consolidare il percorso di studio o professionale (550mila di questi sono italiani secondo le ultime stime), le società che la eleggono come sede finanziaria preferita (Google ha nella capitale britannica gli uffici più grandi dopo quelli di Mountain View) ma soprattutto perché continua a crescere e a essere leader nell'economia e nella cultura, anche grazie alla sua posizione geografica e alla lontananza dalla stretta dei "regolatori ostili" dell'Unione europea.
Ma vediamo quali sono, per lo studioso americano di scenari socioeconomici delle realtà urbane del nuovo millennio, gli otto fattori che più contano per essere determinanti livello globale:
1) la capacità di attrarre investimenti esteri calcolato sul numero delle società che hanno aperto un'attività negli ultimi 5 anni;
2) la concentrazione di sedi di società internazionali ovvero il numero di corporate headquaters presenti;
3) i primati su alcune nicchie di business;
4) le connessioni aeree: calcolato sul numero dei voli disponibili senza scalo verso mete internazionali (requisito minino tre volte la settimana);
5) la qualità e quantità dell'offerta di servizi alla produzione (studi legali, società di consulenza, infrastrutture tecnologiche);
6) l'offerta di servizi finanziari e la presenza di società quotate;
7) la concentrazione di start up e incubatori e dei media (tv, giornali);
8) la diversità razziale.
La parola chiave è dunque e può essere solo "Hub". Purtroppo oltre alla mancanza di infrastrutture e servizi il nostro Paese non sembra nemmeno avere la vocazione a far crescere un nuovo polo di attrazione per energie, cervelli, finanziamenti come lo sono Londra, New York, Parigi, Singapore, Tokyo, Hong Kong, Dubai, Pechino, Sydney, Los Angeles, San Francisco, Toronto. Probabilmente sarebbe necessario uno sforzo in più rispetto al decreto sblocca Italia per recuperare il tempo perduto.
Una paio di considerazioni, a parziale consolazione, vanno aggiunte: la prima è che nessuna città tedesca o spagnola è presente nella classifica di Forbes, la seconda che gli equilibri politici, economici e finanziari sono spesso scossi da imprevedibili cambi di rotta. Lunedì il quotidiano britannico Financial Times ha rivelato che le grandi bank di Wall Street stanno predisponendo i piani per spostare il grosso delle operazioni concentrate a Londra - secondo piazza finanziaria del mondo dopo New York - in Irlanda nell'eventualità che il Regno Unito esca dall'Ue. Tra gli istituti Usa coinvolti colossi come Citigroup, Morgan Stanley e Bank of America. Questi, secondo il Ft, starebbero predisponendo piani - ancora nella fase iniziale - per spostare parte delle loro attività in Irlanda, dove non solo il fisco è ancora più amichevole ma resterà nel club dei Ventotto.
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