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Questo articolo è stato pubblicato il 20 agosto 2014 alle ore 06:38.

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I peshmerga curdi hanno bisogno soprattutto di artiglieria e armi anticarro per fermare le offensive dei miliziani dello Stato Islamico (IS) le cui avanguardie sono a circa 20 chilometri dalle città di Erbil e Dahouk. La carenza di armi pesanti costituisce il punto debole delle forze curde la cui vulnerabilità è ingigantita dopo che i miliziani jihadisti hanno messo le mani su centinaia di mezzi corazzati (inclusi carri armati americani M-1 Abrams), blindati e artiglieria catturati nei depositi di Tikrit, Baji e Mosul e appartenuti a tre divisioni irachene sbandate a inizio luglio di fronte all'offensiva dello Stato Islamico.
«I nostri peshmerga sono in numero sufficiente e hanno grande coraggio, ma non possono arginare l'Is con i mezzi al momento a loro disposizione», ha detto l'alto rappresentante del governo regionale del Kurdistan in Italia, Rezan Kader sostenendo la necessità di ricevere in particolare «missili anti-tank ed elicotteri». Nessuno per ora ipotizza di fornire elicotteri ai curdi, anche a causa dei tempi lunghi necessari ad addestrare piloti e tecnici locali, ma proprio l'Italia potrebbe consegnare ai peshmerga un numero consistente di armi anticarro di origine russo-sovietica, equipaggiamenti con i quali i combattenti curdi hanno grande dimestichezza. Roma sembra infatti valutare di fornire ai curdi armi prelevate dai depositi in caverna dell'isola di Santo Stefano, in Sardegna, dove sono conservate dal 1994 duemila tonnellate di armi ucraine sequestrate sulla nave Jadran Express che le stava portando in Croazia violando l'embargo internazionale. Un arsenale conservato in 200 container contenenti 30mila kalashnikov con oltre 20 milioni di proiettili, 4mila missili anticarro AT-4 Spigot, 50 batterie lanciarazzi del tipo katyusha con 5mila razzi Grad, 400 lanciarazzi Rpg con 11mila razzi anticarro. Una parte di questo arsenale è stato fornito nel 2011 ai ribelli libici che combattevano contro l'esercito di Muammar Gheddafi. Una consegna che doveva restare segreta ma che venne a galla dopo che i container contenti le armi vennero imbarcati improvvidamente su un traghetto civile.
Sull'intera vicenda il governo Berlusconi pose il segreto di Stato ma lunedì la notizia della visita del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, al deposito di Santo Stefano ha confermato il piano di fornire ai curdi proprio quelle armi. Non è ancora chiaro se Roma invierà in Kurdistan solo armi leggere o anche missili e razzi anticarro così come sembra ancora incerto se la fornitura riguarderà le armi ucraine o il surplus dell'esercito italiano come le mitragliatrici MG-42.
Sul piano tecnico le MG avrebbero scarsa utilità poiché i curdi non le hanno in dotazione e impiegano munizioni diverse da quelle delle armi di tipo russo dei peshmerga. Anche l'invio dei kalashnikov requisiti 20 anni or sono sarebbe poco influente sugli equilibri bellici poiché ai curdi non mancano certo i fucili. Per avere un significato militare e non solo politico l'aiuto italiano deve riguardare i missili Spigot e i lanciarazzi Rpg e Grad, cioè le armi anticarro e artiglieria di cui i curdi sono carenti e che fornimmo anche ai ribelli libici per contrastare i mezzi corazzati di Gheddafi. In attesa di conoscere la "lista della spesa" pare probabile anche l'invio di puntatori laser, giubbotti antiproiettile e radio.
La scelta degli equipaggiamenti da inviare implica anche valutazioni politiche ed economiche. Con le armi anticarro i curdi potranno respingere più agevolmente i jihadisti ma in seguito potranno sostenere con più forza le pretese di indipendenza da Baghdad. L'invio di armi leggere non irriterebbe il governo iracheno ma non aiuterebbe neppure i curdi a combattere le brigate dell'Is composte anche da militari sunniti che hanno disertato dall'esercito iracheno e da ufficiali baathisti veterani delle guerre di Saddam Hussein.
Anche i costi della spedizione variano a seconda dei quantitativi e delle modalità. Un ponte aereo effettuato con cargo C-130J e KC-767A potrebbe far giungere rapidamente le armi a Erbil ma richiederebbe molti voli mentre l'invio dei container via nave nella base italiana di al-Batin, negli Emirati, e da lì sui C-130J fino in Kurdistan comporterebbe risparmi finanziari ma allungherebbe di molte settimane i tempi di consegna.
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