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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2014 alle ore 10:36.
L'ultima modifica è del 21 agosto 2014 alle ore 07:41.

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Nessuna delle potenze coinvolte ha misurato le conseguenze di questo conflitto dentro l'Islam. I sunniti in Siria pensavano, come al solito, di manovrare jihadisti e radicali islamici mentre gli occidentali cercavano, o facevano finta di cercare, un'opposizione moderata che era già stata fagocitata dagli estremisti. Un altro esempio di ipocrisia che ora costringe Stati Uniti ed Europa a un intervento tardivo in Iraq.

Impressionanti gli errori del neo-presidente turco Tayyip Erdogan e del suo ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, uno dei candidati alla carica di premier. Secondo loro Assad nel 2011 sarebbe caduto in poche settimane, come Ben Alì in Tunisia e Mubarak in Egitto: diedero così via libera al passaggio di combattenti jihadisti e salafiti di ogni provenienza dal confine turco.

Lo Stato islamico non poteva che ringraziare perché al contrario dei suoi avversari, arabi e occidentali, una strategia i jihadisti ce l'anno. Questo è il piano di Baghdadi: con la fusione tra sunniti di due nazioni frantumate si colma il divario demografico in Iraq e si costruisce il Califfato che punta estendersi ben oltre la Mesopotamia. E adesso gli apprendisti stregoni arabi che volevano manovrare i miliziani sono spaventati, o almeno fingono di esserlo. Ma quante volte abbiamo visto questo infame giochetto sulla pelle dei popoli della regione, in primo luogo i palestinesi? Serve a tenere lontano gli estremisti da casa propria ed esporta la destabilizzazione.

La Siria e l'Iraq, travolti dagli errori dei loro regimi e dalle infiltrazioni esterne, come stati centralizzati si sono velocemente sgretolati lasciando un vuoto in cui si è inserita la marea nera del Califfato. L'errore di valutazione – lo ha ammesso lo stesso presidente americano – è stato clamoroso ma da un paio d'anni era evidente che i jihadisti avevano fatto di Iraq e Siria un unico campo di battaglia. Eppure un'estate fa, di fronte all'uso di armi chimiche da parte di Assad, sembrava ormai imminente un bombardamento di Damasco. A Obama, assediato da un Congresso ostile, lanciò una ciambella di salvataggio Putin che già si era opposto ai raid in Libia dove gli effetti della caduta di Gheddafi sono sotto gli occhi di tutti. Il governo, per evitare di essere annientato, ora non è più neppure a Tripoli ma a Tobruk, a 1.300 chilometri dalla capitale.

Immaginiamo cosa sarebbe accaduto se avessero colpito Assad. Oggi il Califfo potrebbe sedere sulle rovine di Damasco e tagliare le teste alle minoranze religiose, dagli alauiti ai cristiani. L'agenzia vaticana Fides riporta che il patriarca di Antiochia Boutros Rai è pronto ad allearsi con gli sciiti Hezbollah pur di fermare le infiltrazioni del Califfato in Libano. Il mondo cristiano in prima linea si salva come può.

Per vincere la barbarie del Califfato e frenare la disintegrazione di un'intera regione che non è soltanto Corano e metano, è indispensabile aprire una trattativa anche con Assad e l'Iran (che già negozia sul nucleare) coinvolgendo le monarchie del Golfo e le altre potenze regionali. Ma bisogna essere chiari e dire se vogliamo ancora una Siria e un Iraq sulla mappa del Medio Oriente. E di questo c'è da dubitare assai.

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