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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2014 alle ore 06:38.

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NEW YORK
La Siria offre agli Stati Uniti e all'Occidente un'alleanza per fermare l'avanzata dell'Isis. Un'offerta lasciata cadere da Washington: l'amministrazione Obama ha mantenuto ferma la denuncia del regime di Bashar al-Assad, accusato di crimini contro la popolazione. Ma la presa di posizione mostra i crescenti drammi militari e politici che si consumano nella regione ai confini con l'Iraq, che fanno suonare con sempre maggior insistenza i tamburi di guerra al Pentagono.
È stato il ministro degli Esteri di Damasco, che nel fine settimana sotto gli attacchi degli estremisti islamici ha perso il controllo di una grande base aerea, a porgere il ramoscello d'ulivo: «La Siria è al centro di una coalizione internazionale per combattere lo Stato islamico», ha dichiarato Walid Muallem. Il messaggio contiene tuttavia anche condizioni: una richiesta di legittimazione del regime, che gli Stati Uniti vogliono invece cacciare, e un'aperta minaccia a non scavalcare Damasco. Muallem ha invitato gli Usa a coordinare le operazioni con il governo siriano, altrimenti «qualunque intervento sarà considerato un'aggressione».
L'amministrazione Obama, dopo i successi messi a segno in Iraq con i bombardamenti contro l'Isis, è sotto pressione crescente per allargare il fronte dei suoi interventi, unilaterali o alla guida di una coalizione. Un ampliamento che porta direttamente in Siria, patria dell'organizzazione che ha ereditato il mantello di al-Qaeda, diventando la forza dominante dell'opposizione armata ad Assad e sbaragliando qualunque schieramento moderato sul quale contava Obama. E in queste ore il dipartimento della Difesa e i servizi segreti stanno analizzando il più rapidamente possibile elenchi di potenziali obiettivi da colpire e che potrebbero indebolire l'Isis, tra i quali spiccano campi di addestramento dei miliziani.
I rovesci militari di Damasco degli ultimi giorni hanno aumentato l'urgenza di considerare nuove offensive contro gli estremisti: nel weekend, dopo cinque giorni di intensi combattimenti, l'Isis ha strappato alle truppe regolari siriane la base dell'aviazione militare di Tabqa, completando la conquista della regione di Raqqa. Le voci interventiste in questo clima si fanno sentire, all'interno e all'estero: l'opposizione repubblicana invita Obama a tenere aperte tutte le opzioni e critica la sua prudenza. L'influente senatore Lindsey Graham della North Carolina ha invitato a non escludere l'invio di truppe di terra, oggi un tabù per Obama, se i comandanti militari lo riterranno necessario. «Bisogna fermare» l'Isis, ha detto. «Sono alla distanza di un biglietto aereo dagli Stati Uniti», ha aggiunto il deputato conservatore Mike Rogers del Michigan, sollevando lo spettro di attentati terroristici in casa, soprattutto perché almeno duemila militanti dell'Isis avrebbero passaporti occidentali. Alleati locali in Medio Oriente hanno incoraggiato a loro volta una maggior aggressività militare statunitense.
Ma dentro il partito democratico e nell'amministrazione affiorano anche inviti alla cautela. La Siria non è l'Iraq, avvertono, dove è stato possibile coordinare i bombardamenti con azioni di terra di truppe curde e irachene. «Non credo il presidente voglia procedere nell'immediato con raid in Siria», ha detto Adam Schiff, deputato democratico della California e esponente della Commissione Intelligence sostenendo che non sarebbero altrettanto efficaci.
A livello internazionale, la Casa Bianca ha ricevuto inviti dall'Europa a non correre troppo negli sforzi di tenere a battesimo una vasta coalizione anti-Isis. La Gran Bretagna, il più fedele tra i grandi alleati occidentali, attraverso il suo ambasciatore negli Usa Peter Westmacott, ha indicato di essere a favore di operazioni congiunte contro lo Stato islamico, ma per ora non sta considerando «interventi militari diretti». Londra ha inoltre ammonito che inviare armi all'opposizione moderata siriana è al momento molto rischioso, davanti alla dimostrata capacità dell'Isis di impadronirsi di arsenali sul terreno.
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QUASI AMICI
La mossa di Assad
In difficoltà di fronte all'avanzata dell'Isis, che nel fine settimana ha conquistato una grande base aerea, il regime di Bashar Assad (nella foto) ha offerto ieri un apparente ramoscello di ulivo agli Usa, il nemico che appena un anno fa minacciava di bombardare Damasco accusata di aver impiegato armi chimiche. L'offerta del ministro degli Esteri siriano, Walid Muallem, di collaborare nei raid contro lo Stato islamico poneva però due condizioni che Washington ha ritenuto inaccettabili: il coordinamento delle operazioni con il governo di Damasco e, soprattutto, la legittimazione di quel regime che tuttora l'amministrazione Obama vuole abbattere.

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