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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2014 alle ore 15:31.
L'ultima modifica è del 27 agosto 2014 alle ore 17:21.

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La Turchia guarda sempre più a Oriente? Forse sì. Il premier uscente Recep Tayyip Erdogan ha aperto oggi in uno strapieno palazzetto dello sport di Ankara il congresso straordinario del suo partito della Giustizia e sviluppo (Akp) convocato per eleggere il premier designato Ahmet Davutoglu, attuale ministro degli Esteri, al suo posto, sottolineando che non ha nessuna intenzione di abbandonare il ruolo politico di primo piano conquistato in questi ultimi anni. Davutoglu ha subito detto che «la Turchia ha bisogno di una riforma costituzionale in senso liberale», ma probabilmente voleva indicare la necessità di un riforma istituzionale in senso presidenzialista, che consenta al neo eletto capo dello Stato Erdogan di continuare a fare il leader del Paese sul Bosforo modificando l'attuale ruolo simbolico che la carica di presidente della Repubblica ricopre nella costituzione turca, sebbene ora sia ad elezione diretta del popolo.

Subito dopo Davutoglu ha ricordato nel suo discorso di insediamento come capo del partito di maggioranza a cui domani seguirà quello nella carica di premier che «le potenze Occidentali distrussero l'impero ottamano, ma noi non permetteremo loro di distruggere la nuova Turchia. Siamo alla vigilia di un grande risveglio culturale», ha proseguito il prossimo premier turco. Davutoglu, ideologo della politica estera chiamata "zero problemi con i vicini" e che finora non ha avuto grandi successi, è tornato così sul tema della politica neo-ottomana, la dottrina a lui cara che vede una Turchia sempre più rivolta al Medio Oriente e all'Asia centrale piuttosto che verso l'Unione europea, dove i negoziati per l'adesione di Ankara languono da anni frenati dai veti franco-tedeschi.

L'addio di Erdogan al partito. «Si conclude oggi dopo 13 anni e 13 giorni la mia missione come presidente del partito iniziata nel 2001», ha sottolineato Erdogan che domani lascerà la guida del governo per giurare come nuovo capo dello Stato dopo la vittoria al primo turno alle presidenziali del 10 agosto. «Questo discorso non segna un cambio di missione. È solo un cambio di nome e non è assolutamente un addio (...). È un nuovo inizio, una nuova inaugurazione, un giro di boa», ha aggiunto il premier uscente palesemente commosso di fronte a migliaia di sostenitori che hanno visto il reddito pro capite passare da 2.500 dollari del 2002 agli attuali 10mila dollari.

In Turchia, una repubblica parlamentare, il presidente ha sempre ricoperto un ruolo di rappresentanza, ma Erdogan, che subentra ad Abdullah Gul, suo sodale di partito, ha in progetto da tempo una riforma istituzionale in senso presidenzialista alla francese, come ha dichiarato durante la campagna elettorale che se eletto sarebbe stato un capo dello Stato attivo in politica. Le opposizioni dei laici del Chp e dei nazionalisti del Mhp temono invece una riforma costituzionale in senso autoritario.

«Daremo domani il mandato a Davutoglu di formare il governo e il nuovo esecutivo sarà annunciato venerdì», ha detto Erdogan nel corso di un lungo intervento dove ha ricordato i successi del suo esecutivo nel processo di democratizzazione, in campo economico e sulla scena internazionale, oltre che nella lotta contro i golpe militari e «la tutela» dell'esercito sulla politica.

Tassi invariati per timore dell'inflazione. La Banca centrale della Turchia ha deciso di mantenere fermo il suo tasso di riferimento, dopo i numerosi avvertimenti lanciati dai mercati che ulteriori tagli sarebbero stati pericolosi in un momento di alta inflazione. La banca, dopo la sua ultima riunione di politica monetaria, ha lasciato il tasso di riferimento all'8,25%, dopo averlo tagliato di mezzo punto a luglio, facendo rafforzare la lira a 2,1545 contro il dollaro. Il governo di Recep Tayyip Erdogan, oggi primo presidente eletto direttamente dal popolo, ha fatto nei mesi scorsi numerose pressioni sulla banca per avere una politica monetaria fortemente espansiva, nonostante gli avvertimenti degli economisti a non far ripartire l'inflazione che spaventerebbe anche gli investitori internazionali di cui la Turchia ha enorme bisogno a causa di un deficit delle partite correnti che veleggia sul 7% del Pil.

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