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Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2014 alle ore 06:38.

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La lenta discesa agli inferi che Vladimir Putin sta preparando per se stesso, l'Ucraina e l'Europa, svela un difetto cromosomico della Russia e di tutti i grandi imperi, soprattutto di quelli che non lo sono più: l'arroganza. Da quando è iniziata la crisi, mentre era alle Olimpiadi invernali di Sochi pensando di celebrare un apogeo politico, Vladimir Vladimirovich non ha mai smesso di crede di essere il più furbo di tutti, confidando di raggiungere con l'inganno il suo scopo finale.
Oppure è il contrario. Sono gli Stati Uniti, la gran parte degli europei e la Nato che da sette mesi trasformano l'Ucraina in un inesistente Villaggio Potemkin nel quale i più forti vengono fatti apparire i più deboli, i veri cattivi trasformati in finti buoni, le colpe in diritti, l'aggressività in desiderio di pace: una gigantesca operazione di disinformazione il cui scopo è usare la questione ucraina per dare alla Russia il colpo di grazia che un saggio presidente come George Bush (il padre) aveva vietato ai Dottor Stranamore del Pentagono di assestare, dopo la caduta del Muro e la disgregazione dell'Unione Sovietica.
La verità non sta mai da una sola parte, possiamo rilevarne tracce in una versione e nell'altra della vicenda ucraina e della Storia più in generale. C'è in alcuni americani e in molti europei dell'Est un forte desiderio di rivalsa contro Mosca. Dopo la deludente trasferta in Afghanistan, giunta con soddisfazione di tutti alla fine, in questa crisi la Nato ritrova il suo teatro, il suo pubblico, la sua ragion d'essere. E questa è una grande tentazione per la burocrazia militare d'Occidente.
Ma se la seconda parte di verità - quella del nostro tranello alla Russia - fosse più fondata della prima, significherebbe che in Occidente siamo da tempo governati da un grande fratello, senza essercene accorti. Al contrario, se in Europa esiste un sistema politico che più si avvicina all'orwelliano, quello è la Russia di Putin, secondo solo alla Bielorussia di Alexander Lukashenko e a qualche repubblica ex sovietica ai limiti dell'Europa, oltre il Caucaso e gli Urali.
Dal presidente della tregua olimpica di Sochi, al comandante dell'anshluss della Crimea; dal negoziatore che divide con Petro Poroshenko pane e sale nella tradizione dell'ospitalità slava, all'invasore occulto dell'Ucraina orientale; dall'uomo che parla al telefono con Obama e Merkel, al fornitore irresponsabile del missile che ha abbattuto un aereo di linea con 300 innocenti a bordo. In questi mesi ne abbiamo visti molti di Vladimir Putin ma il più sfrontato è quello che oggi nega l'esistenza di mille soldati russi in Ucraina e di molti altri ancora a ridosso dei confini, della partecipazione ai combattimenti e perfino della negazione alle loro stesse madri dei suoi soldati caduti. Putin sa che entro poco tempo il prezzo più alto della guerra commerciale - quella si dichiarata e palese - la pagherà la Russia. Gli effetti di un Paese che non produce nulla se non idrocarburi, si vedranno sugli scaffali dei negozi di Mosca e nei conti bancari degli oligarchi molto prima dei benefici del grande accordo energetico con la Cina.
Un comportamento così non è casuale ma il frutto di una precisa lettura della realtà: Putin non può fare a meno dell'Ucraina. Se la perde non si realizza il suo disegno alternativo alla Ue di unione economica e politica di ex paesi sovietici. E se il disegno non viene compiuto, finisce l'era politica di Putin. Gli oligarchi e l'opinione pubblica sono con lui se occorrono dei sacrifici economici per tornare ad essere un grande impero. Non lo sarebbero più se restassero impoveriti e senza impero. L'Ucraina orientale trasformata in campo di battaglia, impedisce al resto del Paese la transizione verso la democrazia e la stabilità. La partita vera si giocherà quest'inverno, quando a 40 gradi sotto zero la differenza fra avere o non avere il gas russo è fra la vita e la morte.
Ieri sera a Montecarlo, in un'Europa apparentemente tranquilla e felice, sono stati sorteggiati i gironi della Champions League. Lo Shakhtar Donetsk giocherà nel gruppo H con il Porto e l'Atletico Bilbao. Ma con i suoi giocatori brasiliani e l'allenatore rumeno, lo Shakhtar non giocherà più alla Donbass Arena, il suo bello stadio costruito solo due anni fa per gli Europei, ma a Leopoli.
Non si era mai vista in Europa una squadra di calcio giocare in esilio, ma questa non è più un'Europa normale: non è quella della Guerra fredda e nemmeno del dopo Guerra fredda. È un'Europa sospesa alla quale Vladimir Putin vorrebbe imporre una nuova Yalta: noi a Ovest dell'Ucraina, loro a Est come prima. Nel suo essere profondamente russo Putin non ha capito che per quanto realismo politico sappia esercitare, l'Europa a occidente dell'Ucraina è paziente come lo fu in quarant'anni di Guerra fredda: per prassi politica e per ideale, non rinuncerà mai a un'Europa interamente democratica.
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