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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2014 alle ore 10:02.
L'ultima modifica è del 30 agosto 2014 alle ore 10:44.

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(Afp)(Afp)

Il Brasile arranca, scivola in recessione tecnica e, neanche a dirlo, è tutta colpa della Seleçao e di quei Mondiali-incubo terminati poco più di un mese fa.
L'Istituto nazionale di statistica ha comunicato dati piuttosto deludenti riguardo all'economia: il Pil del Paese è sceso per due trimestri consecutivi. Nel secondo trimestre del 2014 l'economia ha segnato un calo dello 0,6% e l'andamento del primo trimestre è stato rivisto da una crescita dello 0,2% a una flessione dello 0,2%. In termini statistici, due trimestri consecutivi di crescita negativa si traducono in una sola parola: recessione. Recessao per i verdeoro.

I permessi lavorativi per assistere alle partite di calcio potrebbero aver influito nella decrescita del Pil. Una notizia, quella della recessione, che in queste ultime settimane di campagna elettorale inevitabilmente verrà strumentalizzata. Contro Dilma Rousseff e a favore di Marina Silva e Aecio Neves, i due sfidanti.
Lo sapevano tutti, il Brasile rallenta. Economisti, industriali, operatori finanziari e investitori finanziari avevano già incorporato, nei loro programmi di lavoro, aspettative non positive. Per qualcuno era un semplice rallentamento, per altri una vera e propria crisi. Ma di recessione nessuno voleva parlare.
Ora invece è caduto il tabù (non accadeva da cinque anni) e l'Istat brasiliano lo ha scritto, nero su bianco, nel comunicato di ieri.
Il ministro dell'Economia, Guido Mantega, ha gettato acqua sul fuoco: «La situazione economica internazionale presenta delle debolezze e il Brasile non poteva restare fuori dal contagio. Il Brasile c'è stato anche un fattore climatico particolarmente avverso: la siccità. Che ha fatto lievitare i costi energetici e ha provocato aspettative negative».

Comunque sia, il ministro non drammatizza e chiama in causa a Copa, quel maledetto Campionato mondiale che in Brasile verrà ricordato per decenni. Il 7-1 a favore della Germania non è stata solo una sventagliata di fango sull'immagine calcistica del Brasile, in mondovisione per 3 miliardi di telespettatori. È stata anche una delle cause di questa recessione tecnica: nel secondo trimestre del 2014 c'è stato il 3,3% di giorni lavorativi in meno, ma secondo Mantega i permessi lavorativi, proprio per il significato che il calcio assume in Brasile, sono stati molti di più e hanno provocato la momentanea contrazione dell'economia.
Al di là dei commenti dell'establishment economico del Brasile non ci sono dubbi che il modello Lula e poi Rousseff mostri qualche difficoltà. Dopo 10 anni di crescita vigorosa i consumi delle famiglie sono in contrazione e, in molte regioni del Paese, è in corso una palese deindustrializzazione, con investimenti in netto calo.

«Negli ultimi tre anni sono stati persi 190mila posti di lavoro - spiega l'economista Benjamin Steinbruch - e ciò rivela la serietà della crisi industriale del Paese. È come se due imprese della dimensione di Petrobras avessero chiuso i battenti».
La parabola discendente della crescita brasiliana è riassunta in questi pochi dati di Pil: nel 2010 (+7,5%), rallentatamento nel 2011 a +2,7%, nel 2012 a +1% e nel 2013 a +2,5%.
Per il 2014 le ultime previsioni sono poco ottimistiche e, secondo un forum di economisti interpellato dalla Banca centrale del Paese, non vanno oltre lo 0,7 per cento. La stabilità macrofinanziaria, quella sì, resta acclarata. L'inflazione non supera il 6% e la Banca centrale conta 379 miliardi di dollari di riserve, dieci volte di più rispetto al 2002.

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