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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2014 alle ore 20:17.
L'ultima modifica è del 30 agosto 2014 alle ore 22:02.

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(Epa)(Epa)

Il primo ministro polacco Donald Tusk è il nuovo presidente del Consiglio europeo e sostituisce il belga Herman Van Rompuy. Tusk, 57 anni, pragmatico e centrista, fortemente sponsorizzato da Londra (nel suo discorso d'esordio ha detto di «non poter immaginare un'Unione senza la Gran Bretagna»), rappresentante di un paese fuori dall'eurozona, è stato scelto per tranquillizzare i timori di quegli otto paesi dell'Europa dell'est che nel 2004 entrarono nella Ue e guardano con crescente preoccupazione al risorgente nazionalismo russo nei suoi sviluppi nella crisi ucraina.

Il premier polacco, che non parla in modo fluente né inglese né francese, ha annunciato venerdì scorso l'intenzione del suo governo di innalzare nel 2016 al 2% del Pil le spese militari e parlando davanti al parlamento polacco ha sottolineato che il suo esecutivo avrebbe fatto il possibile affinché «aumenti la presenza delle forze alleate della Nato in Polonia» a garanzia della integrità territoriale.

Segnali chiari di come Tusk voglia impostare i rapporti con Mosca, con realismo, diplomazia ma senza cedimenti sulla sicurezza dei confini e del rispetto dell'integrità territoriale dei paesi limitrofi. Dopo aver sconfitto alle elezioni due volte i fratelli Kaczynski, accusati di aver provocato un «disastro» in politica estera, Tusk ha rilanciato l'immagine del Paese in Europa. In vista delle prossime elezioni amministrative però il suo partito, Piattaforma civica, è dato in calo nei confronti di Diritto e Giustizia, il partito di Jaroslaw Kaczynski, il gemello superstite, che si prepara con buone probabilità di successo anche nelle elezioni politiche del 2015 cavalvando i vecchi timori contro Mosca.

Tusk arriva a Bruxelles forte di una Polonia che è diventata una storia di successo dell'integrazione europea, unico paese ad evitare la recessione durante la Grande crisi. Varsavia ha saputo ben amministrare le decine di miliardi di fondi strutturali e di coesione europei facendone la leva per la crescita come ai tempi seppe fare la Spagna al suo ingresso nell'Unione.

I principali indici mondiali sulla competitività segnalano una storia in progressione per Varsavia: nella classifica per la facilità di fare affari della Banca mondiale la Polonia si colloca al quarantacinquesimo posto, mentre nel Global Competitiveness Index del World Economic Forum è al quarantaduesimo. Ottimi risultati, ma c'è chi non perdona a Tusk l'impprovvida decisione presa qualche mese fa di aver statalizzato i fondi pensione per ridurre il debito pubblico, che stava superando il tetto del 55%, limite costituzionalmente invalicabile. Un uomo di Solidarnosc è ora ai vertici dell'Unione europea, il rimpianto Bronislaw Geremek, ex ministro degli esteri polacco, ne sarebbe felice.

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