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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2014 alle ore 14:28.
L'ultima modifica è del 01 settembre 2014 alle ore 14:30.

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Vladimir Putin (Lapresse)Vladimir Putin (Lapresse)

TOKYO – La visita del presidente russo Vladimir Putin a Tokyo, prevista in autunno, è stata sostanzialmente confermata anche se, da quando fu programmata, le due nazioni si sono inflitte reciprocamente varie sanzioni. Il Giappone non poteva restare indifferente al "cambiamento di status quo con la forza" promosso da Mosca con l'annessione della Crimea, in quanto potenzialmente in grado di costituire un precedente spinoso per il caso in cui la Cina volesse modificare lo status quo relativo alle isole Senkaku (che il Giappone controlla ma Pechino rivendica), tentativo di cui Tokyo già accusa il governo cinese.

Né Tokyo poteva smarcarsi dalla linea comune del G-7. Tuttavia le sanzioni giapponesi sono apparse più blande di quelle americane o europee, e prese piuttosto di controvoglia, anche perché fino a qualche mese fa i buoni rapporti e i numerosi incontri tra Putin e il premier Shinzo Abe erano sembrate una possibile premessa per la soluzione di un problema annoso che impedisce la firma di un trattato di pace tra le due nazioni e quindi una grande spinta alle relazioni economiche bilaterali: l'occupazione russa delle Kurili meridionali (o Territori settentrionali, come li chiamano i giapponesi), avvenuta alla fine della seconda guerra mondiale nel periodo tra l'annuncio della resa del Giappone (15 agosto 1945) e la sua firma ufficiale il 2 settembre (tra parentesi, la Russia dichiarò guerra al Giappone solo dopo l'atomica su Hiroshima, violando il patto di neutralità: i giapponesi lo considerarono un vero tradimento, anche perché ritenevano di aver "salvato" loro la Russia mantenendo fede a quel patto, il che consentì a Stalin di spostare a ovest le divisioni siberiane che salvarono Mosca alla fine del 1941).

Washington ha mostrato un certo imbarazzo nel commentare la conferma della visita di Putin in Giappone, ma vari analisti sottolineano che non è un male che Tokyo possa contribuire a smussare i contrasti, mentre la prospettiva di un futuro rilancio dei rapporti economici potrebbe bilanciare il rafforzamento dei rapporti Pechino-Mosca (indicato dal recente maxiaccordo sulle forniture siberiane di energia) e più in generale contribuire positivamente agli equilibri regionali.

Il 2014, che nelle speranze di Tokyo doveva sancire una svolta nel contenzioso sulle quattro isole contese, finisce per arenare temporaneamente ogni possibile soluzione tra le sanzioni reciproche. Quest'anno segna anche un anniversario: non solo il centenario dell'inizio della Prima guerra mondiale, ma anche i 110 anni dall'inizio della guerra russo-giapponese che ne fu una prova generale e ne influenzò le origini. Nel 1905, infatti, la guerra ebbe una svolta con due grandi vittorie giapponesi per terra (la conquista di Port Arthur e quella di Mukden: il nostro generale Cadorna ne trasse poi motivo per restare fedele alla sua sanguinosa teoria strategica dell'assalto frontale) e soprattutto la distruzione della flotta russa venuta dal Baltico presso gli stretti di Tsushima. Il risultato del successivo trattato di pace di Portmouth mediato dal presidente americano Theodore Roosevelt fu il blocco delle ambizioni a Oriente della Russia, il cui dinamismo da allora si concentrò all'Ovest contribuendo a incendiare la situazione nei Balcani (dove oltretutto poteva giocare il popolare argomento ideologico della protezione dei fratelli slavi). Il Giappone divenne altresì una potenza mondiale, ma il mito della "vittoria mutilata" (non avendo ottenuto riparazioni finanziarie, ma solo la parte meridionale dell'isola di Sakhalin) contribuì a rafforzare il militarismo che doveva esplodere negli anni Trenta.

L'acquisto della preponderanza in Corea e sostanzialmente anche nella Manciuria meridionale diede poi una piattaforma territoriale – a partire dall'annessione diretta della Corea nel 1910 – alle ambizioni espansioniste dei militari verso la Cina e spianò quindi la strada a Pearl Harbor e infine a Hiroshima. Ma ancora oggi la guerra russo-giapponese è generalmente considerata in Giappone giusta e sacrosanta.
A Yokosuka, 80 km a sud di Tokyo, sono già in vendita i calendari celebrativi dei 110 anni della vittoria sulla Russia. Li si trova nella piazza adiacente al porto commerciale, dove si erge la statua dell'Ammiraglio Heihachiro Togo e si trova, trasformata in museo, la nave ammiraglia della flotta giapponese che annientò quella russa del baltico: la Mikasa. Sono in molti a visitarla.

La narrativa del museo sugli avvenimenti appare piuttosto nazionalista: fu una guerra assolutamente difensiva (anche se furono i giapponesi ad attaccare per primi) che iniziò dopo la comunicazione dell'interruzione delle relazioni diplomatiche (i russi sostengono che fu in sostanza un attacco a tradimento, nello stile poi replicato a Pearl Harbor); fu un conflitto che, in quanto finito con la prima sconfitta della razza bianca, promosse lo sviluppo dei movimenti anticolonialisti nell'intera Asia e influenzò anche l'indipendentismo nazionale in Polonia e Finlandia e persino la nascente lotta al razzismo negli Usa; fu una vicenda che deve restare a gloria imperitura della nazione. Anche la biografia dell'Ammiraglio Togo, il "Nelson d'Oriente", viene illustrata in modo piuttosto arrogante: si dice, come ascrivendolo a suo merito, che Togo si fece un nome affondando un mercantile inglese che trasportava soldati cinesi (durante la guerra con la Cina di dieci anni prima) "in violazione del diritto internazionale". Per la verità, anni fa su questa frase era stata applicato un adesivo in modo che venisse sostituita da "in accordo con le leggi internazionali".

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