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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2014 alle ore 10:40.

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C'è un'eccezione nel desolante panorama europeo offerto dall'indice Pmi sul settore manifatturiero diffuso ieri. E' l'Irlanda, dove l'indicatore dello stato di salute dell'industria ha registrato in agosto un valore di 57,3, in aumento dal 55,4 di luglio, ben al di sopra di quella soglia di 50 considerata lo spartiacque tra espansione e contrazione dell'attività. Per il Paese, uscito a dicembre da un piano di salvataggio internazionale da 67,5 miliardi di euro, è il quindicesimo rialzo mensile consecutivo, che porta l'indice a livelli che non toccava dal 1999.

Da qualche tempo Dublino, dopo gli anni di prostrazione seguiti allo scoppio della bolla immobiliare – la crisi che fece collassare il sistema bancario e costrinse l'Irlanda a chiedere aiuto alla comunità internazionale -, sforna dati che inducono all'ottimismo. La disoccupazione è calata per otto trimestri consecutivi e si è attestata nei primi tre mesi del 2014 al 12% (nel febbraio 2012 aveva raggiunto il 15%) e si sta avvicinando all'11% secondo gli ultimi dati mensili; le esportazioni – tradizionale traino dell'economia celtica – hanno ripreso fiato, soprattutto grazie alle buone performance economiche registrate da due tradizionali mercati di sbocco, quello nordamericano e quello britannico; anche i consumi mandano segnali incoraggianti, come confermano le vendite di auto, che nei primi sette mesi dell'anno hanno già raggiunto il livello dell'intero 2013. Il Pil irlandese, cresciuto nei primi tre mesi del 2014 del 2,7% rispetto al trimestre precedente, dovrebbe registrare, secondo le stime, un incremento annuo del 3 per cento.

Qualcuno potrebbe essere tentato di dire che è tornata la Tigre celtica, ma occorre cautela. Innanzi tutto quella irlandese è un'economia piccola, soggetta a brusche oscillazioni e ancora molto dipendente dall'export (quindi anche dall'andamento economico dei partner), con il grado di volatilità che ne consegue: in questo senso non è rassicurante la difficile ripresa dell'Eurozona, altro mercato fondamentale per Dublino. Anche se – come aveva sottolineato al Sole 24 Ore Fergal O'Brien, capo economista dell'Ibec, la principale associazione imprenditoriale irlandese, analizzando l'uscita irlandese dal bailout - il Paese ha saputo ristrutturare la sua economia, dando più peso alla domanda interna e avviando una ripresa «più bilanciata».

Il secondo fattore da tener presente è che il Pil non ha ancora toccato i livelli pre-crisi, i prezzi delle case sono più bassi del 40% rispetto ai picchi del 2007, la disoccupazione – specie quella di lungo termine – è ancora troppo elevata. Dublino, insomma, è quasi uscita dal tunnel. Quasi.

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