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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2014 alle ore 09:53.
L'ultima modifica è del 06 settembre 2014 alle ore 10:03.

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NEWPORT - Questo vertice storico della Nato si è dunque chiuso nel segno dell'unità e con una nuova missione per l'Alleanza atlantica: con il cessate il fuoco firmato ieri a Minsk, ora è l'Isis, il nuovo califfato islamico, a diventare il «pericolo pubblico numero uno» che andrà «distrutto». È l'Isis a diventare l'oggetto di una nuova missione militare per i 28 membri dell'organizzazione: a Newport si è deciso di organizzare una nuova coalizione con forze Nato ed extra Nato per combattere l'estremismo islamico e il pericolo di nuovi attacchi terroristici in Occidente.

Ne faranno parte 10 Paesi: Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, Italia, Francia, Germania, Danimarca, Polonia, Turchia e Canada. Il decimo non fa parte della Nato ed è l'Australia. La decisione arriva in coincidenza con la chiusura della missione in Afghanistan entro la fine dell'anno che libererà risorse per poter lavorare al nuovo obiettivo. «Un movimento come l'Isil non può essere contenuto, va distrutto. E lo distruggeremo come abbiamo distrutto al-Qaeda - ha detto Barack Obama nella conferenza stampa finale - Elimineremo i loro leader come abbiamo eliminato Ahmed Godane, il capo di al-Shabaab, il più pericoloso movimento islamico in Somalia. E per farlo abbiamo un piano preciso».
Barack Obama alla fine di questo vertice ha ritrovato l'energia. E soprattutto la strategia che diceva pochi giorni fa di non avere, per confrontarsi con un movimento crudele, spregiudicato, che vorrebbe imporre leggi e metodi medioevali nel teatro mediorientale. Nella mattina si erano già incontrati i ministri degli Esteri, John Kerry e della Difesa, Chuck Hagel per discutere di alleanze diplomatiche e militari da perseguire in Medio Oriente. Ma è stato Obama a dare il quadro più chiaro, a ringraziare gli alleati della Nato che si sono resi disponibili a lavorare nei prossimi giorni a programmi operativi. E a incoraggiare alleati regionali come l'Arabia Saudita, la Giordania, l'Egitto, la Turchia ad aiutare gli sforzi per distruggere l'Isil.

Obama ha sottolineato che le forze estremiste islamiche sono bene organizzate sotto molti punti di vista, ma ha anche osservato che l'Isil è stato aiutato dall'assenza di un'azione adeguata da parte delle forze di terra irachene. Il problema deriva anche dalle divisioni a Baghdad, dal rifiuto della classe dirigente a perseguire politiche inclusive e multiculturali: «La settimana prossima dovremmo avere un nuovo governo a Baghdad - ha detto Obama - quello sarà il punto di partenza, perché per quanto noi si continui con gli attacchi aerei, il colpo decisivo dovrà venire dalle forze di terra. E per questo daremo aiuti sia di tipo logistico che di intelligence».

Ma non è soltanto il cuore del Medio Oriente a rappresentare una minaccia per l'Europa e gli Stati Uniti. C'è forte preoccupazione per quello che sta capitando in Libia. Quest'altro fronte potrebbe consentire all'Italia di svolgere un ruolo chiave. Saranno i quartieri generali a Bruxelles a dove allocare risorse per stabilizzare la Libia e proprio ieri in conferenza stampa il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha osservato che il «Nord Africa e la Libia fanno parte della missione generale per il recupero di stabilità».
Nell'insieme dunque questo vertice ha prodotto i risulati voluti. Ha contribuito a riaffermare le pressioni contro le minacce per l'Ucraina ottenendo almeno in apparenza un passo indietro di Mosca. Ma ha messo a fuoco il vero pericolo nel lungo periodo, quello di un prevalere dell'estremismo islamico «che non rappresenta i musulmani - ha concluso Obama - ma solo alcuni fanatici privi di moralità che operano contro i dettami del Corano».

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