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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 17 settembre 2014 alle ore 12:30.
Un'agenda europea di impulso agli investimenti privati per riaccendere il motore alla crescita grazie a incentivi fiscali, maggiore concorrenza e un fondo europeo temporaneo sul modello di quello della Bei ma con il focus sui finanziamenti alle piccole e medie imprese. È la proposta messa a punto da Diw Berlin, think tank tedesco di ricerca economica. Una proposta di qualche settimana fa che somiglia in parte a quelle avanzate dai governi alla vigilia dell'Ecofin.
Il documento delinea un quadro difficile in assenza di interventi adeguati. I paesi dell'Eurozona dopo anni di recessione non hanno bisogno di aumentare la spesa pubblica, sostiene la ricerca ("Weak investment dampens Europe's growth"), ma di rilanciare gli investimenti, soprattutto del settore privato, che si sono inabissati negli anni della crisi. Il livello globale degli investimenti è crollato, rispetto al 2008, del 15% mentre il tasso sul Pil è sceso di circa il 4 per cento. L'attività è al di sotto delle potenzialità in particolare nei paesi virtuosi (sui conti pubblici) a Nord del blocco, Germania in primo luogo.
L'istituto ha condotto una simulazione per misurare il tasso "ottimale" in base alle condizioni macroeconomiche. Nelle economie dell'area euro esiste un gap medio di investimenti fissi lordi - pubblici e privati - in rapporto al Pil pari a 0,5 punti percentuali. Con differenze importanti: nel periodo 1999-2012 il tasso tedesco è stato inferiore del 2,9% mettendo Berlino alla testa di questa speciale classifica. Seguono Olanda (2,6%) e Finlandia (1,5%) mentre la Francia appare più regolare con il suo tondo zero. Le economie della crisi (i Piigs), invece, hanno investito più del dovuto così che in Spagna e Grecia il gap, sempre in percentuale sul Pil, è negativo: -4,3 e -0,8 per cento; in Italia -0,9, in Portogallo -0,8 e in Irlanda -0,1 per cento. La differenza, notano i ricercatori, si spiega con la mole di investimenti immobiliari nei paesi del Sud sospinti dal boom dei prezzi ben oltre l'appropriato livello strutturale.
Il difficile ritorno alla crescita ha visto un acuirsi degli squilibri. Dal 2010 al 2012 il gap dell'Eurozona è salito al 2 per cento; in Germania la scarsa propensione a spendere surplus e risparmi ha portato il sottoinvestimento (rispetto al modello) a quota 3,7%, in Olanda al 4,8.
«La crescita è ancora troppo debole per tirare fuori dalle secche della crisi l'Europa del Sud» afferma Marcel Fratzscher, presidente di Diw. «C'è bisogno di un'agenda di investimenti che non chieda l'intervento dei governi o spesa pubblica ma promuova il libero mercato e crei più concorrenza, dunque innovazione». Incentivi fiscali (per esempio sugli ammortamenti) dovrebbero affiancare le politiche di deregulation. Dovrebbe infine essere creato un fondo europeo simile nella struttura a quello della Bei che con l'aiuto di garanzie degli Stati membri sia in grado di rifinanziarsi e offrire nuovo capitale a condizioni favorevoli, al fine di ridurre i tassi di interesse soprattutto per le piccole e medie imprese della sponda Sud dell'euro. Il fondo dovrebbe essere unico, senza confini regionali: l'importante, conclude Diw Berlin, è spingere gli investimenti privati, senza guardare la nazionalità.
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