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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 12 settembre 2014 alle ore 08:16.

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Sul fronte italiano, si legge negli atti della Procura, "si ritiene che Scaroni (all'epoca Ad di Eni) e Descalzi (all'epoca capo della principale divisione dell'Eni, Exploration & Production e al momento attuale Ad dell'Eni) abbiano organizzato e diretto l'attività illecita".

Sia Descalzi che Scaroni respingono ogni accusa.
Secondo gli inquirenti, invece, "Descalzi era anche in continuo contatto con Obi". A provarlo sono alcune intercettazioni telefoniche fatte casualmente nell'ambito della cosiddetta inchiesta P-4 dalle quali risulta che Bisignani aveva chiesto al suo amico Scaroni di aprire le porte dell'Eni al duo Obi-Di Nardo, che l'Ad dell'Eni aveva assegnato al suo braccio destro operativo Claudio Descalzi il compito di occuparsene e che, in alcuni momenti chiave della trattativa per l'Opl 245, quest'ultimo aveva tenuto ad aggiornare Bisignani e aveva parlato con lui delle mosse di Obi.
A Il Sole 24 Ore risulta anche che Descalzi si era rivolto a Obi anche per una vicenda che non riguardava l'Opl-24 ma per Eni era forse ancor più delicata. Il 25 novembre 2010 funzionari della Economic and Financial Crimes Commission, una sorta di Guardia di Finanza nigeriana, avevano infatti arrestato il direttore esecutivo di Saipem, la controllata dell'Eni, assieme a 10 dirigenti della società di costruzioni Usa Halliburton. L'accusa era di corruzione, in relazione alla realizzazione di impianti per il gas naturale liquefatto a Bonny Island. Dagli atti del tribunale di Londra risulta che il giorno dopo Descalzi si era incontrato con Obi al Jumeirah Carlton Hotel di Londra. E che in quell'occasione aveva "chiesto aiuto a Obi su questioni con il Governo federale nigeriano e il Ministro della Giustizia in relazione al problema Saipem/Halliburton".

L'INCHIESTA DEL SOLE Il caso Eni-Nigeria. Il 5 luglio scorso Claudio Gatti ha anticipato l'inchiesta che ha coinvolto l'Eni. «È una bega da un miliardo di dollari – scriveva – la cifra pagata dall'Eni per un giacimento di greggio in Nigeria che formalmente è andata al Governo di Abuja ma in realtà è stata dirottata sui conti di una società dello stesso Ministro del petrolio che aveva assegnato la concessione iniziale. Una vicenda che oggi, 15 anni dopo, ha spinto la Procura di Milano a mettere sotto inchiesta l'Eni». Già sul Sole-24Ore del 1° agosto 2012 Gatti aveva anticipato che ad Abuha era stata aperta un'inchiesta nei confronti dello stesso ministro del petrolio Dan Etete.

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