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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2014 alle ore 11:27.
L'ultima modifica è del 12 settembre 2014 alle ore 13:56.

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Ci sono momenti, la guerra è uno di questi, in cui l'Occidente ama mettersi un po' gli stivali da cowboy come gli americani e anche l'impopolare presidente francese Hollande vola a Baghdad ed Erbil accompagnato dai ministri degli Esteri e della Difesa. I francesi nel loro desiderio di mettersi in mostra sono più avanti degli inglesi, un po' riluttanti a partecipare a questa avventura mediorientale dove insieme al Califfato combattono centinaia di jihadisti britannici.

Èla guerra: si diventa coraggiosi e anche precisi. La Cia, sparita per mesi anche dai giornali Usa, risorge con un rapporto secondo il quale il Califfato conta dai 20mila ai 31.500 uomini: 31.500, non uno di meno o di più. Chissà dov'erano a Langley quando l'Isis conquistava città dopo città e i loro agenti restavano misteriosamente silenziosi. La Russia invece si inalbera affermando che i raid aerei americani in Siria senza l'approvazione di Assad sono fuori dalle norme internazionali e John Kerry, il segretario di Stato, per una volta diventa spiritoso e sarcastico replicando che certamente Mosca in Ucraina non ha rispettato il diritto internazionale.

Alle armi, alle armi: questa è la guerra di Barack Obama in Medio Oriente, che non prevede truppe a terra ma neppure qualche interrogativo su che cosa si stia facendo e con chi.

È venuto il momento di porre ai nostri amici islamici qualche domanda scomoda, affermava in questi giorni l'ex ministro degli Esteri Emma Bonino, che ha trascorso alcuni anni al Cairo e in Medio Oriente a studiare l'arabo e la storia del mondo musulmano.
E alcune domande scomode si dovrebbero rivolgere anche a Barack Obama, che dopo avere annunciato il piano per combattere il Califfato ha spedito in Arabia Saudita il segretario di Stato John Kerry ad allargare la coalizione internazionale contro l'Isil.

La domanda per l'amministrazione Usa è questa: per spegnere un incendio adesso ci si rivolge ai piromani? Può essere una tattica assai utile, basta non rivestirla di richiami alla morale e alla democrazia.

Obama, nella giornata che commemorava l'11 settembre, ha incassato un buon risultato sul fronte arabo, con ben dieci Paesi del Nordafrica e del Golfo Persico che al termine di un incontro a Gedda si sono detti pronti a far parte della grande alleanza contro lo Stato Islamico di Abu Bakr al Baghdadi.

La coalizione avrebbe anche lo scopo di tagliare i finanziamenti ai jihadisti, bloccare il flusso di combattenti stranieri in Iraq e in Siria (la vera minaccia per l'Occidente) e assicurare aiuti umanitari alle popolazioni più minacciate.

Ma sui partecipanti arabi si allunga l'ombra di qualche sospetto. Come l'Arabia Saudita e il Qatar, Paesi che finora hanno tenuto un atteggiamento ambiguo e dai quali continuano a partire ingenti risorse per alcuni gruppi di estremisti.

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