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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2014 alle ore 11:18.

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Pantaleone Mancuso, detto l'"ingegnere", ritenuto un boss della 'ndrangheta e per molti erede designato al comando dell'omonima famiglia di Limbadi (Vibo Valentia), è stato arrestato il 29 agosto (ma la notizia è stata resa nota solo ora) dalla gendarmeria argentina a Puerto Iguazù (Brasile), mentre tentava di attraversare la frontiera, diretto appunto in Brasile.

L'uomo, di 53 anni, era latitante dal 2 aprile ed era inseguito da un mandato di cattura internazionale per duplice tentato omicidio e associazione mafiosa. A incastrare "l'ingegnere" sono state le impronte digitali.
L'"ingegnere" si perde nel ramo genealogico di una famiglia non propriamente sempre unita e in cui gli stessi nomi di battesimo si ripetono come nelle migliori tradizioni delle famiglie del Sud (ed è proprio per distinguerli che vengono assegnati i soprannomi).Tanto per capirci sulla caratura della cosca, comunque, i Mancuso sono quelli che – da pari a pari con i cartelli sudamericani – dominano una quota enorme del narcotraffico mondiale.

Il capo riconosciuto era Francesco Mancuso (Don Ciccio) ma della famiglia fanno parte o hanno fatto parte Antonio Mancuso (zio Ntoni), Diego Mancuso (detto Mazzola), Giuseppe Mancuso (detto mbrogghja), Luigi Mancuso (detto o signurino), Pantaleone Mancuso (detto vetrinetta), Pantaleone Mancuso (detto scarpuni), Cosmo Mancuso (zio Michele), Francesco Mancuso (detto tabacco). Pantaleone Mancuso l'"ingegnere" è fratello di Giuseppe, Diego e Francesco.

La Cassazione e la famiglia
Il 1° ottobre 2009 (Cassazione Penale, sezione V, sentenza n. 1710) a conclusione del cosiddetto processo "Dynasty" (procedimento penale 3204/02 della Dda di Catanzaro) è diventata definitiva la prima sentenza che ha riconosciuto l'esistenza dell'organizzazione criminale ‘ndranghetistica denominata famiglia Mancuso.

Per meglio inquadrare la caratura criminale della cosca mafiosa Mancuso appare utile richiamare l'informativa dei Carabinieri del Ros in quel procedimento, che ha attestato l'esistenza ed operatività, fino all'ottobre del 2003, di una cosca di ‘ndrangheta denominata famiglia Mancuso, radicata a Limbadi (Vibo Valentia) e operante in tutta la provincia di Vibo Valentia, in posizione egemonica sulle altre ‘ndrine esistenti nei singoli comuni di quel territorio.
Nella sentenza, ai fini della prova dell'esistenza dell'articolazione territoriale della ‘ndrangheta, denominata "famiglia Mancuso", la Suprema Corte di Cassazione ha affrontato e superato la problematica, decisiva tanto in quel processo quanto nell'indagine, della suddivisione della "famiglia Mancuso" in diverse fazioni, anche fra loro contrapposte. Ha negato che la riconosciuta frammentazione della cosca potesse avere una efficacia probatoria negativa, affermando, al contrario, come anche le dinamiche conflittuali interne, lungi dal contraddire l'unitarietà della struttura associativa, piuttosto ne accrescono il potere intimidatorio.

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