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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2014 alle ore 14:01.
L'ultima modifica è del 15 settembre 2014 alle ore 16:51.

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C'è poca benzina, ma anche il motore non funziona bene. Dietro le ultime previsioni dell'Ocse, che puntano per l'Italia al – 0,4% per il 2014 e al + 0,1% nel 2015, c'è un doppio problema. Manca la domanda, la benzina, ma anche il motore ha ormai una potenza molto bassa.

Benzina in riserva
Il problema dell'Italia e della sua crescita si riassume in questa immagine. La domanda – come in tutte le recessioni – è insufficiente: i consumi languono, gli investimenti privati e pubblici sono scarsi, le esportazioni non sono sufficienti. Dietro questi tre fenomeni si possono poi cercare altri fattori: manca il lavoro, i tassi sui prestiti sono troppo alti, le banche sono rigide nel fornire credito alle aziende (che ne chiedono in misura limitata), il debito pubblico pesa come un macigno – piaccia o no – su tutte le politiche pubbliche, spesso mal concepite e mal eseguite.

Un motore poco potente
Senza la benzina della domanda, anche il motore più potente sarebbe in difficoltà. Il motore dell'economia italiana, però, è il motore di un'auto vecchia, che consuma tanto e corre poco. Il paese non eccelle in nessuno dei grandi elementi della crescita. Le risorse naturali scarseggiano da sempre. I capitali non riescono a svilupparsi abbastanza, creare nuove imprese – e quindi nuovi posti di lavoro – è estremamente complicato: l'Italia è indietro nelle classifiche mondiali del "fare impresa" (Doing business), che pure non tengono conto degli ostacoli della corruzione e della criminalità organizzata. In alcuni settori è difficile trovare lavoratori con le competenze specifiche, mentre tanti eccellenti laureati trovano solo all'estero lo spazio per esprimere le loro qualità (e creare quindi un ricco valore aggiunto). La ricerca scientifica – che è per così dire il motore del motore – è ai minimi, mentre la qualità delle istituzioni è relativamente bassa, a cominciare dalla giustizia civile.

Le riforme fatte finora sono sbagliate, se non altro nei tempi e nella successione: inutile per esempio creare lavori atipici e flessibili se non si toccano anche i mercati dei prodotti. L'Italia resta un paese dalle mille potenzialità, uno dei primi al mondo, ma non vince più un gran premio da decenni.

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