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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2014 alle ore 11:29.

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Scontro tra Prefettura e comune di Bologna sulla trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni gay contratti all'estero. Da ieri, come deciso dal sindaco nella direttiva firmata il 30 giugno scorso, è possibile avviare la pratica per il riconoscimento. Una procedura su cui è arrivato lo stop del prefetto del capoluogo emiliano, Ennio Mario Sodano, il quale ha scritto venerdì una lettera al comune in cui chiede di ritirare il provvedimento perché non previsto dall'ordinamento italiano. Una richiesta che sarebbe dettata da argomenti che rinviano a sentenze di Cassazione e a una circolare ministeriale del 2007 che prevedono la non trascrivibilità di questi atti.

Ma il primo cittadino, Virginio Merola, non arretra: «Io vado avanti, la trascrizione non ha effetti legali, ma simbolici. La nostra è una battaglia di civiltà. Per questo motivo non revoco il provvedimento, e se lo riterrà opportuno interverrà il prefetto».

In attesa delle prossime mosse intanto, a Palazzo d'Accursio, sono già arrivate quattro coppie omosessuali a presentare la loro richiesta (tra cui anche quella del senatore Pd Sergio Lo Giudice). A divulgare la richiesta del prefetto è stata la consigliera comunale Ncd, Valentina Castaldini, che era stata proprio l'autrice di un esposto al rappresentante del Governo in cui si chiedeva la sospensione del provvedimento. La Curia di Bologna, tramite il vicario generale Giovanni Silvagni, si è limitata a ricordare che «il matrimonio, prima di essere un fatto giuridico, è un dato antropologico, che la legge riconosce e non istituisce. E non è modificabile a piacimento dal legislatore».

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