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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2014 alle ore 11:50.

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Inviato a Edimburgo
«No, non voterò, per rispetto agli scozzesi. È una scelta loro, non è giusto che io possa contribuire a decidere il futuro di questa terra». Diana, ventiquatrenne lituana, da cinque anni residente a Edimburgo e impiegata in una catena internazionale di alberghi, è fra coloro che hanno scelto un discreto rifiuto. Non s'è iscritta nelle liste elettorali.

Lo stesso ha fatto Ewoni tassista ghanese incontrato a Kirkwall, isole Orcadi, e con loro tanti altri "scozzesi" in temporanea adozione quassù. Eppure sarà proprio la parola degli immigrati a segnare il destino del referendum sull'indipendenza della Scozia. Daranno un contributo determinante se è vero che il 14% di coloro che hanno deciso di votare è residente più o meno occasionale nelle terre oltre il Vallo, proveniente dal resto del Regno, dall'Unione europea, dagli stati del Commonwealth. E se è vero che il margine fra sì e no è ridotto entro una forchetta del 4 per cento (52 per gli unionisti, 48 per secessionisti), in piena zona di errore statistico, si fa presto a immaginare che proprio la volontà di polacchi e italiani, malesi e soprattutto inglesi potrà determinare il futuro di Edimburgo e dintorni.

I non scozzesi sono quindi uno dei più vasti collegi elettorali con oltre 600mila elettori sui 4,3 milioni che hanno diritto ad esprimersi. Cinquecentomila sono di casa: inglesi, nordirlandesi, gallesi, almeno centomila sono cittadini dell'Unione e del Commonwealth. Come voteranno? Esistono comitati per il «sì» anche di italiani, ci sono imprenditori di fama come l'olandese (di origine) Peter de Vink pronto a immolarsi per l'indipendenza della sua patria d'adozione, ma fra gli expat pare prevalere la voglia di continuità. Ovvero prevale la voglia di «no». Saranno davvero loro a fare la differenza ? Visti i numeri, si conferma una sensazione che getta un'ombra sul sistema adottato per il referendum.

Non esiste una cittadinanza scozzese e questo, ovviamente, complica le cose, ma dare a tutti i residenti il diritto di esprimersi su una scelta epocale capace com'è di ribaltare tre secoli di storia e precipitare la sesta economia del mondo sul ciglio di una crisi che può bene travolgere il resto del mondo è stata una scelta a dir poco avventurista. Ancor di più se si considera che gli scozzesi di nascita e di genìa residenti a Londra e a Roma, a Madrid o a Manchester non hanno diritto di voto. La Scozia agli scozzesi si dissolve in una catena di paradossi che rendono questa consultazione oltremodo bizzarra e soprattutto giocata maldestramente dalla capitale.

Londra si conferma insensibile alle istanze della periferia. Il voto scozzese è stato preso con leggerezza, nella errata convinzione che nessuno possa desiderare di "lasciare il Regno". E sulla scorta di tanta protervia tutta la classe politica, a cominciare da quella al governo, si gioca il proprio futuro. David Cameron se n'è accorto, tardi. Forse troppo tardi.

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