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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2014 alle ore 06:37.

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«Podemo farghea» e WSM (viva san Marco): in Veneto il tam tam a sostegno del referendum scozzese di domani rimbalza con questo mantra da Zermeghedo a Campodarsego, da san Giovani Lupatoto al Cadore. Persino il compassato Financial Times ha sdoganato l'indipendentismo veneto. E cita la regione italiana, insieme con Scozia e Catalogna, come l'epicentro della disgregazione degli Stati nazione. La legittimazione tardiva della stampa britannica ridà fiato ai movimenti indipendentisti che nascono, muoiono e si rifondano con la solita fantasia e prolificità. Con un assist sorprendente a favore degli autonomisti da parte dei centri sociali del Nordest (Rivolta, Pedro, Ztl), la cosiddetta sinistra antagonista, che in giugno manifestava contro la politica dei divieti (goliardia compresa) del sindaco di Padova Massimo Bitonci, esibendo come paladino nientemeno che Franco Rocchetta, il fondatore della Liga veneta ed ex sottosegretario agli Esteri arrestato il 2 di aprile con un gruppo di indipendentisti del lombardo-veneto e poi scarcerato.
Ora gli occhi sono puntati su Edimburgo. Il risultato del referendum in Veneto sarà vissuto, a seconda dell'esito, come un'accelerazione o uno stop sulla strada dell'autodeterminazione. L'effetto domino e l'emulazione giocheranno un ruolo chiave. L'otto novembre toccherà alla Catalogna, mentre il Veneto andrà alle urne nel maggio 2015 con un candidato alla presidenza, il governatore leghista in carica Luca Zaia, che qualche giorno fa ha incassato il sostegno incondizionato di quel che resta di Forza Italia. Come imposterà Zaia la campagna elettorale se a Edimburgo e Barcellona prevalessero i sì? Una domanda ancora più intrigante alla luce di un'altra scelta compiuta dal governo nel mese di luglio, con l'impugnazione davanti alla Corte costituzionale delle due leggi approvate dal consiglio regionale che autorizzano i referendum sull'autonomia e l'indipendenza. Ieri Zaia se l'è cavata con una dichiarazione difficilmente contestabile: «Al di là del risultato, il Regno Unito ha impartito una lezione di democrazia». Un modo elegante di dire quello che un gruppo di deputati leghisti ha declinato a Montecitorio srotolando le bandiere del leone di San Marco alla fine del discorso di Matteo Renzi. Lo stesso gruppo ha poi sventolato dei fogli con su scritto: «Il futuro dei veneti nelle mani dei veneti». Un riferimento esplicito a Renzi e a alla decisione dell'esecutivo di bloccare la strada alle due leggi regionali. Il «podemo farghea», tradotto in euro, vale 20 miliardi, un fiume di denaro che resterebbe a Nordest se anche qui valesse uno statuto come quello friulano o delle province autonome di Trento e Bolzano, guarda caso territori al confine con il Veneto.
Dice Luigi Marco Bassani, ordinario di Storia delle Dottrine politiche a Milano e allievo di Gianfranco Miglio. «Se in Scozia avranno la meglio i sì, cadrà il muro di Berlino dell'Europa occidentale. Una cosa però mi preme sottolineare: la Gran Bretagna dimostra di essere una spanna più in alto dell'Europa continentale. Non si può impedire a un popolo di esprimersi, qualunque esso sia. La manifestazione del pensiero è patrimonio fondante di ogni democrazia».
L'allievo di Miglio si riferisce alla chiusura di Madrid e Roma nei confronti dei referendum che dovrebbero seguire quello scozzese. Un'opposizione che tende a prolungare l'agonia degli Stati nazione, di cui si avvertivano gli scricchiolii già negli anni '40, come si evince dai saggi del filosofo della politica Carl Schmitt. Bassani non ha dubbi: «Il vero salto nel buio è perseverare nello status quo. L'immobilismo sta distruggendo enormi quantità di ricchezza. L'Italia è tornata ai livelli di reddito del 1986. E negli ultimi 25 anni la pressione fiscale reale è passata dal 23 al 55%». In sintonia con Bassani è il costituzionalista padovano Mario Bertolissi, che a proposito di livelli di libertà e tassi di democrazia cita il caso canadese del Québec, nel quale prevalsero i no all'indipendenza. Racconta Bertolissi: «Il governo investì della questione la Corte suprema federale. Il verdetto fu simile a quello britannico: nessuno detiene il monopolio della verità. In forza di questo principio, i cittadini riuscirono a esprimere la loro opinione. Solo un'eventualità fu giustamente censurata: la separazione unilaterale del Québec dal Canada».
E la ricetta, in fondo, che distingue le democrazie mature dalle oligarchie: negoziare, garantire un libero confronto tra le opinioni, contarsi attraverso il voto. Il docente padovano non è per nulla ottimista sull'evoluzione dei due referendum impugnati dall'esecutivo: «In Italia prevale sempre la tentazione di cacciare la polvere sotto il tappeto. Solo uno Stato debole può temere un referendum».
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