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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2014 alle ore 06:38.

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PARIGI. Dal nostro corrispondente
«Una sinistra moderna è una sinistra che ha il coraggio di fare le riforme». E poi: «Governare è resistere, andremo fino in fondo».
Sono questi i due passaggi centrali del discorso con cui il premier francese Manuel Valls ha chiesto ieri pomeriggio alla Camera - per la seconda volta in cinque mesi, dopo quella d'inizio aprile con il suo primo Governo - la fiducia. Ottenendola in versione striminzita, come previsto: 269 voti a favore (37 in meno rispetto ad aprile e 20 meno della maggioranza assoluta), 53 astensioni (tra cui 31 socialisti) e 244 contrari.
Con quelle parole, Valls ha infatti ribadito la determinazione a realizzare le riforme che tutti apparentemente sanno essere la strada ineludibile per cercare di ridare al Paese una prospettiva di crescita: una riduzione della spesa pubblica attraverso i necessari recuperi di efficienza; una maggiore flessibilità del mercato del lavoro; una diminuzione della pressione fiscale e contributiva su famiglie e imprese.
E ha chiarito che non ha alcuna intenzione di mollare, non ha l'orizzonte temporale (tre-sei mesi) che pure alcuni sostengono abbia rivelato in privato.
Il premier ha insistito soprattutto sulle spesa pubblica, che il presidente Hollande aveva promesso di ridurre e che invece è ancora salita, dal 56,5% del Pil nel 2012 all'attuale 57 per cento: «La nostra spesa pubblica è troppo alta e tutti sappiamo che ci sono ampi margini per recuperare efficienza. Non credo che ci debba essere meno Stato, ma uno Stato migliore. Ecco perché realizzeremo il previsto piano di riduzione da 50 miliardi in tre anni».
Sia pure in maniera meno clamorosa rispetto all'intervento di fine agosto al Medef, la Confindustria francese, quando aveva detto «amo l'impresa», Valls ha comunque dichiarato che «bisogna essere al fianco delle aziende, perché sono loro a creare ricchezza e occupazione». Come mai, ha chiesto Valls, «dovremmo essere il solo Paese a non sostenere le proprie imprese?». E non si tratta, ha chiarito, «di una scelta ideologica, bensì strategica».
Certo, il problema del premier, ieri, era anche quello di incassare il massimo dei consensi possibili, limitando la fronda della sinistra socialista. Ha quindi riaffermato il no all'austerità: «Non ci saranno nuovi tagli e neppure nuove tasse, per non entrare in una spirale recessiva». Ha difeso il generoso welfare francese: «Riformare non vuol dire mettere in discussione il nostro modello sociale. Che va adattato e adeguato, salvaguardando le conquiste degli ultimi 200 anni». Ha respinto al mittente le richieste del Medef sul superamento delle 35 ore e sui giorni festivi da abolire: «Non cambieremo la legge sulla durata legale del lavoro e respingiamo le provocazioni e i rilanci continui dell'associazione imprenditoriale». Ha annunciato un ritocco alle indennità di vecchiaia (da 792 a 800 euro mensili) e alle pensioni inferiori ai 1.200 euro.
Ha confermato che Parigi non rispetterà gli impegni presi in sede europea sul fronte del deficit, rivendicando la sovranità delle decisioni («La Francia decide da sola per sé»), pur spiegando che «un accordo con la Germania è indispensabile». Ma la Germania, ha aggiunto, «deve ascoltare e assumere pienamente le proprie responsabilità».
Valls si è rivolto anche alla Bce, soddisfatto per le misure già prese, ma chiedendo di andare più in là. Con l'acquisto, non esplicitato, di titoli di Stato.
Ora, incassata una pur risicata fiducia che lo costringerà a qualche mediazione parlamentare, il Governo deve passare rapidamente dalle parole, dagli annunci ai fatti. La situazione del Paese è drammatica, con tutti gli allarmi accesi. Bisogna fare in fretta e paradossalmente potrebbe essere proprio l'impopolarità da record di Hollande il miglior alleato di Valls nel realizzare riforme che incontreranno inevitabili resistenze. Peggio di così non può andare e in questo momento nessuno - tranne l'estrema destra di Marine Le Pen - ha interesse al voto anticipato.
Se invece il contesto politico e sociale dovesse rendere impossibili le riforme, Valls abbandonerà il presidente al suo destino. Ma questo, per ora, è un altro film.
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PROMESSE

50 miliardi
I tagli alla spesa pubblica
È l'impegno di riduzione in tre anni, per invertire una dinamica che l'ha vista passare, dal 2012 al 2013, dal 56,7 al 57% del Prodotto interno lordo. Secondo il premier Valls ci sono ampi margini per i tagli, senza per questo compromettere il modello di welfare francese: «Non voglio meno Stato, ma uno Stato migliore».
35 ore
L'orario di lavoro non si tocca
È un'altra promessa di Valls per tenere a bada l'ala sinistra del partito. Le 35 ore restano così un tabù nonostante le pressioni più recenti del Medef, la Confindustria francese, per modificare il dispositivo e per una riduzione dei giorni di festività

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