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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2014 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 21 settembre 2014 alle ore 16:25.

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I rischi per la crescita dell'economia mondiale sono aumentati negli ultimi mesi, secondo il comunicato preparato dai ministri finanziari e dai governatori del G-20, la cui riunione di chiude oggi a Cairns, in Australia. Il Fondo monetario, che in un documento preparato alla vigilia dell'incontro, ha sottolineato la disparità della ripresa, mettendo l'accento sulle difficoltà dell'Eurozona e del Giappone, si prepara a tagliare le proprie previsioni della crescita mondiale, che verranno presentate fra due settimane a Washington, dal 3,4% stimato a luglio.

A fronte di questo peggioramento dello scenario, i rappresentanti delle grandi economie industriali e delle maggiori potenze emergenti hanno riaffermato il piano concordato a febbraio per ottenere un 2% di crescita addizionale entro il 2018, ma sono divisi su come rilanciare l'attività, con la Germania sulla difensiva di fronte alle sollecitazioni dei partner a utilizzare lo spazio di manovra nel bilancio pubblico per spingere la domanda.

Il G-20 ha trovato invece un accordo per combattere l'elusione fiscale soprattutto da parte delle imprese multinazionali, che tendono a spostare i profitti verso giurisdizioni a tassazione zero o molto bassa. Entro il 2017 entreranno in vigore in una quarantina di Paesi regole stabilite dall'Ocse, l'organizzazione che riunisce i Paesi industriali, per arginare questo fenomeno soprattutto attraverso uno scambio automatico di informazioni. I primi sforzi per eliminare diverse forme di elusione hanno già portato, negli ultimi cinque anni, al recupero di 47 miliardi di dollari di imposte non pagate, ha detto il segretario dell'Ocse, Angel Gurria, secondo cui le multinazionali detengono circa 2mila miliardi di dollari in paradisi fiscali.

La maggior parte della discussione del G-20 si è concentrata però sul problema della crescita economica insufficiente. L'affermazione del padrone di casa, il ministro delle Finanze australiano Joe Hockey, che il gruppo ha «l'opportunità di cambiare il destino dell'economia globale» appare quanto meno ottimistica in un quadro che si sta invece deteriorando. Il G-20 ritiene che le misure per ogni singolo Paese delineate a febbraio e già annunciate arrivino a un 1,8% di crescita addizionale, anche se non tutte ancora implementate. Il presidente della Banca mondiale, Jim Kim, colloca la percentuale all'1,6%.

Da più parti si è puntato il dito contro l'Eurozona e in particolare la Germania. Lo hanno fatto sia il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Jacob Lew, sia il ministro canadese, Joe Oliver, secondo cui l'Europa ha bisogno di un piano di stimolo fiscale, seppure accompagnato da un programma di successivo rientro per i conti pubblici. Il comunicato parla di «spinta alla domanda, specialmente nei Paesi in surplus», che includono la Germania.

Nel suo documento, l'Fmi sostiene che Berlino, «che ha completato il risanamento fiscale, potrebbe permettersi di finanziare investimenti pubblici in infrastrutture, di cui c'è molto bisogno, senza violare le regole di bilancio». Il Fondo afferma anche che una crescita più bassa del previsto nell'area euro non dovrebbe far scattare manovre correttive, che sarebbero controproducenti.

La replica tedesca non si è fatta attendere. Una fonte della delegazione ha ribattuto che la Germania non concorderà con «stimoli miopi» e il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che ha presentato la settimana scorsa in Parlamento un bilancio 2015 che prevede il ritorno al pareggio per la prima volta dal 1969 e si è impegnato a non contrarre nuovo debito pubblico anche per gli anni successivi, ha detto che l'espansione fiscale e monetaria rischia di creare delle bolle nel mercato azionario e nell'immobiliare e riduce la pressione sui Paesi che devono fare riforme strutturali.

All'ordine del giorno del G-20 anche la promozione dell'investimento in infrastrutture attraverso un maggior coinvolgimento dei capitali privati e la definizione di nuove regole per la finanza, in particolare su derivati e banche "troppo grandi per fallire", per arrivare a un accordo al vertice dei capi di Stato e di Governo in programma a novembre a Brisbane. Vertice cui il G-20, come ha chiarito la presidenza australiana, non ha intenzione di «disinvitare» il presidente russo Vladimir Putin, nonostante gli scontri con l'Occidente sulla crisi ucraina, che hanno portato alla "sospensione" della Russia dal G-8.

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