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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2014 alle ore 08:12.

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Sei Paesi su 18 dell'area euro sono in deflazione. Scenario che rimanda al Giappone che ha convissuto con una deflazione media dello 0,35% tra il 1998 e il 2013. La domanda che tutti si pongono ora è: l'Europa rischia di incappare nella «sindrome giapponese»?
Per rispondere si può partire da quello che "pensano" i mercati: l'indice 5year/5year euro swap rate - che sintetizza le aspettative di medio periodo sull'andamento dell'inflazione europea ed è lo stesso indice che monitora la Bce per tarare la politica monetaria - a fine agosto era scivolato all'1,68%, nettamente sotto la soglia obiettivo del 2% dell'istituto di Francoforte. Venerdì ha chiuso all'1,98%. Siamo lontanissimi dal 3,3% di un anno fa ma possiamo dedurre che i mercati non si aspettano al momento una deflazione prolungata nell'Eurozona. I mercati però - come dimostrano le numerose e cicliche bolle che storicamente scoppiano qua e là - non sono infallibili. Certo, oggi non prezzano uno scenario da sindrome giapponese per l'Eurozona, perché la scommessa di fondo è che la politica monetaria della Bce risulterà efficace nei prossimi mesi. Ma - come peraltro ha dimostrato il relativo flop dell'asta di prestiti vincolati alle banche (T-Ltro) del 18 settembre - non possiamo mettere la mano sul fuoco sul fatto che tutte le politiche della Bce vadano a buon fine. E poi, al di là di quello che credono i mercati, cisono delle somiglianze tra il Giappone della metà degli anni '90 con l'area euro di oggi. Uno studio di Axa investment managers considera la politica monetaria uno dei punti cardine per capire se l'Europa si stia ora «giapponesizzando». «In Giappone furono troppo lenti a prevedere che l'inflazione sarebbe stata costantemente bassa, e per quasi un decennio la stima fu eccessiva rispetto alla realtà». Come dire, se le stime a cui fa fede la Bce risulteranno ottimistiche i rischi di cadere nella «sindrome nipponica» non sono da sottovalutare. Così come - rileva l'analisi - «la giapponesizzazione implica che la Bce venga messa in condizione di non poter più adottare misure non convenzionali. Potrebbe dipendere da una decisione della Corte di giustizia europea o dalla Corte costituzionale tedesca che impedirebbe alla Bce di protrarre la sua politica accomodante». Un altro punto riguarda il settore bancario. Anche qui il destino dell'Europa - secondo gli esperti di Axa - è legato alla Bce e all'attuazione di un'unione bancaria funzionante tale da rattoppare gli attuali problemi, pericolosamente simili a quelli del Giappone dato che «le banche dell'area euro solo con lentezza hanno riconosciuto la svalutazione della loro situazione patrimoniale e hanno preso misure adeguate per colmare questa mancanza di capitale. Come in Giappone, e a differenza degli Stati Uniti, gli strumenti che si sono svalutati sono principalmente prestiti, non titoli, pertanto è stato possibile evitare la trasparenza del mark-to-market». Il terzo fattore di rischio riguarda l'andamento demografico. «La popolazione giapponese ha iniziato a diminuire intorno al 2010, una tendenza che in Europa non ci aspettiamo prima del 2035. Una delle ragioni principali risiede nell'immigrazione. L'Europa è una regione tradizionalmente mèta di immigrati, pertanto la crescita della popolazione è più dinamica. L'inasprimento delle politiche sull'immigrazione in Europa, a fronte della prolungata stagnazione economica sarebbe un "passo avanti" verso la giapponesizzazione». Morale: è bene avere fiducia ma anche non sottovalutare i rischi perché, come diceva Mark Twain, «la storia non si ripete, ma fa rima».
@vitolops
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