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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2014 alle ore 13:33.
L'ultima modifica è del 21 settembre 2014 alle ore 13:48.

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Lo scossone che avrebbe potuto provocare la realizzazione di un nuovo stato indipendente di Scozia, avrebbe altresì indotto la necessità di discutere i fondamenti degli Stati moderni nati dal Leviatano. Infatti questi, attualmente in crisi di disfacimento, attraverso trasformazioni e alterne vicende storiche, avevano pur garantito diritti di libertà, politici e sociali con le grandi rivoluzioni, dal liberalismo di Stuart Mill alle conquiste del New Deal e dei diritti sociali, che erano sopravvissute, fino alla fine del passato millennio, trovando nuove affermazioni anche dopo le due spaventose guerre mondiali del secolo scorso.
La vittoria del no ha cancellato qualunque ipotesi di necessario immediato rinnovamento, confermando l'immobilismo dello "status quo" del disordine mondiale. Non è un caso che per il no si fossero pronunciati sia il presidente Obama, sia la cancelliera Merkel e che risultati compiuti abbiano esaltato i mercati finanziari. È dall'inizio di questo millennio che più del 51% delle maggiori economie mondiali è controllato dalle grandi corporation e dai grandi istituti finanziari e bancari più o meno opachi; è solo da allora che la globalizzazione finanziaria ha superato i confini e le regole dei singoli Stati, imponendo essa stessa le regole di una società sempre più globale, governata da una rampante frenetica avanzata tecnologica, indifferente ai diritti umani e alla dignità dei cittadini e affidata ormai alla esclusiva sovranità dei "signori" dei mercati.

Mistificante è l'attuale ritorno a Hobbes, dove il Leviatano è sempre più una macchina per far paura, unico sentimento che motiva l'obbedienza alla legge, nella quale vale solo l'omologazione della violenza, a tutto detrimento della protezione dei diritti. Non è forse un caso che la sconcertante antinomia fra Stato e diritti si sia storicamente proposta nel terrore rivoluzionario francese, che ha trovato un suo peculiare fondamento derivativo nella guerra al terrorismo, fenomeno quest'ultimo che origina dalla crisi degli Stati e dalle disfunzioni democratiche, le cui ultime vicende riguardano, nella loro drammaticità, da un lato la Crimea e l'Ucraina e dall'altro i sanguinari califfati nascenti sulle rive del Tigris.
In conclusione, la disgregazione degli Stati verso singole formazioni tribali non può che portare ad una soluzione che alla totale violenza e autodistruzione del terrore sostituisca la sconcertante antinomia che ho sopra indicato tra Stato e diritti nella rivoluzione francese, con una analoga riformulazione della "dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" del 1789.

L'unica soluzione attuale alla crisi degli Stati e allo "status quo" del disordine mondiale, può essere dunque solamente, al di fuori di facili visioni apocalittiche, con la legislatura appena aperta dell'Unione Europea il passaggio da un'unione monetaria ad un'unione politica, attraverso la costituzione di un governo federale democratico europeo, in cui la presenza dei singoli Stati membri ritrovi una sua nuova consistenza, di fronte all'attuale disgregazione delle istituzioni democratiche, rinnovando una politica basata sulla unità culturale dell'Europa del Rinascimento e dell'Illuminismo e non più su una imbelle e autodistruttiva politica orientata a devastanti e ambigui interessi personali e tribali senza futuro.
Solo queste e non le altre ricette proposte possono realizzare la "quarta rivoluzione" nella corsa alla reinvenzione dello Stato più che una maggiore competizione tra Stati, come vorrebbero invece individuare nel loro ponderoso volume i direttori dell'Economist, John Micklethwait e Adrian Wooldridge The Fourth Revolution: The Global Race to Reinvent the State (Penguin Press, 2014).

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