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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2014 alle ore 13:06.
L'ultima modifica è del 22 settembre 2014 alle ore 14:24.

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Stefano Bernardi, startupper e angel investorStefano Bernardi, startupper e angel investor

«A Milano avevo 23 anni, un lavoro da sogno in una società di venture capital e un contratto a tempo indeterminato. Ma nella mia testa c'erano la passione per le sfide impossibili e la Silicon Valley. Cosi ho mollato tutto e sono partito, senza niente in tasca, per cercare fortuna Oltreoceano». Stefano Bernardi, 27 anni, una laurea in ingegneria informatica all'Università di Roma Tre e una passione per i capitali di rischio, vive a San Francisco da tre anni con moglie e figlio.

«Tutti mi davano del pazzo, ma io volevo giocare in serie A e capire come si muovono le startup e gli investitori nella "mecca" della tecnologia. Arrivato nella baia, prima di creare la mia impresa, mi sono messo a cercare lavoro. Dopo solo tre settimane e molte porte in faccia, ho trovato la mia occasione».

Bernardi è il primo dipendente di Betable, un operatore di giochi digitali. In tre anni insieme al fondatore raccoglie finanziamenti per 23 milioni di dollari. Accumula esperienza, soldi e network. E impara a muoversi bene nella Silicon Valley. Così oggi con due amici italiani, tutti sotto i 35 anni, ha avviato un suo fondo per startup. Si chiama Mission & Market (come le due strade principali di San Francisco). «A San Francisco, però, le due vie non si incrociano mai. Nel nostro logo, sì. Perché se vuoi fare una startup che funzioni, hai bisogno di una solida mission e di un mercato».

«La mia è una vita da emigrato, non è tutto così facile, ma ciò che ho fatto qui sarebbe stato impossibile in Italia. Non perché il nostro Paese faccia schifo. Ma se vuoi vedere le cose più stimolanti del mondo, nel settore Internet, devi venire qui. C'è qualcosa che chiunque atterri a San Francisco, sente nell'aria. Non è solo l'innovazione, qui si respira la velocità. Tutti si muovono a una velocità impressionante. Tutti hanno grandi ambizioni. Inseguono un'utopia: vogliono cambiare il mondo. E ci credono. Tutti intorno a te si licenziano per creare una startup da one billion dollar. Tutte le conversazioni girano intorno alla domanda: come faccio a fare una startup da un miliardo di dollari? Vivere qui è davvero incoraggiante. Ma non immaginate che sia una bolla piena di geni. Con il solo quoziente intellettivo non vai da nessuna parte. In Silicon Valley puoi crescere più in fretta che altrove perché puoi fare esperienze: prima frequenti la Stanford University, poi fai un internship a Google, l'anno dopo vai a Facebook, poi vieni assunto da Twitter. Infine ti licenzi e fai una startup. E il valore acquisito è altissimo».

Bernardi scrive su TechCrunch, il blog di tecnologia più influente del Pianeta. Ha fondato Italian Startup Scene, un gruppo su Facebook che raccoglie piu di 10mila membri. Per molti startupper italiani è un punto di riferimento. «Mi scrivono moltissimi giovani. Il mio consiglio? Non fate startup social in Italia. Non cercate di inventare la nuova Facebook tra Roma e Milano. State perdendo tempo. Noi, italiani, siamo bravissimi in ingegneria "dura", aerospace, bio-tech. E' su questi settori che bisognerebbe puntare. Ci sono investitori pronti a crederci. E' così che si possono fare i soldi».

Cosa consigli invece ai tuoi coetanei che in Italia non hanno ancora un lavoro? «1) imparare a programmare, non è mai tempo perso, 2) studiate bene l'inglese: quando arrivate in Silicon Valley nessuno deve capire che siete italiani 3) impegnatevi. Sempre. Non servono le raccomandazioni. Il mondo è meritocratico. La Silicon Valley ti incoraggia a fare. Ma solo se lo fai nel miglior modo possibile, puoi davvero cambiare il mondo».

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