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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2014 alle ore 06:36.

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di Yao Yang

L'economia cinese è in una fase di ribilanciamento, con i tassi di crescita che da oltre il 10% di prima del 2008 sono calati oggi al 7,5% circa. Si tratta della «nuova normalità» oppure il Paese deve aspettarsi una crescita ancora più lenta nel prossimo decennio?


Il ribilanciamento della Cina è evidente, in primo luogo nel rallentamento delle esportazioni, passate da una media annua del 29% nel periodo 2001-2008 a meno del 10 per cento. L'anno scorso l'occupazione e la produzione nel settore manifatturiero hanno iniziato a diminuire. Nel primo semestre di quest'anno i servizi hanno contribuito per oltre la metà alla crescita. Non stupisce che le eccedenze delle partite correnti si siano ridotte, passando dal picco superiore al 10 per cento del Pil nel 2007 all'attuale 2.
Il riequilibrio ha concorso a migliorare la distribuzione del reddito. Negli ultimi anni la percentuale del reddito nazionale da lavoro è andata aumentando, riflesso diretto del calo nel settore manifatturiero e dell'espansione dei servizi. Tutto ciò ha significato un più ampio riequilibrio a livello di regioni: le province della costa, che producono oltre l'85 per cento delle esportazioni, vivono il loro periodo di recessione più vistoso; le province dell'entroterra hanno mantenuto tassi di crescita relativamente alti. L'indice della disuguaglianza su base 100 punti, in base al quale allo zero corrisponde l'uguaglianza assoluta e all'uno la disuguaglianza assoluta, nel 2012 è sceso allo 0,50 (nel 2010 era a 0,52).
A indurre questi cambiamenti sono due fattori. Il primo è il calo della domanda globale, nella scia della crisi del 2008 che ha costretto la Cina ad adeguare il suo modello di crescita prima del previsto. Il secondo è la continua trasformazione della Cina a livello demografico. Rispetto alla popolazione complessiva, la percentuale in età da lavoro (da 16 a 65 anni) continua a scendere dopo aver raggiunto nel 2010 il picco con il 72 per cento. Al tempo stesso, la Cina vive una fase di rapida urbanizzazione e nel periodo 2001-2008 200 milioni di persone hanno abbandonato il settore agricolo. Più di recente il ritmo di questa migrazione è rallentato e le aree rurali mantengono il 35 per cento della forza lavoro. È inoltre plausibile che il contributo alla crescita della produzione della percentuale in aumento della popolazione in età da lavoro prima del 2010 sia stato sovrastimato. Ciò rende il successivo calo nel rapporto tra i due un indice non accurato col quale determinare l'impatto negativo sulla performance economica. Per di più, questo approccio non tiene conto dei benefici dell'istruzione nei prossimi vent'anni, quando la generazione più giovane sostituirà i più anziani. Al momento, il tasso di rendimento rapportato al livello di istruzione dei cinesi tra 50 e 60 anni è la metà di quello dei 20-25enni. In altri termini, i giovani lavoratori saranno due volte più produttivi rispetto a coloro che andranno in pensione. Entro il 2020 la percentuale dei 18-22ennni che studieranno all'università raggiungerà il 40 per cento rispetto all'odierno 32. Questo miglioramento in termini di capitale umano è destinato a controbilanciare la perdita netta di forza lavoro. L'età prevista per il pensionamento - 50 anni per le donne e 60 per gli uomini - fornisce ai policy-maker margini di manovra. Aumentando l'età della pensione di soli sei mesi per i prossimi dieci anni, si potrebbe compensare il calo annuo nella forza lavoro.
Altri trend danno uno slancio ulteriore alla Cina. Anche se gli investimenti sembrano destinati a calare, probabilmente occorreranno dieci anni prima che essi scendano sotto il 40 per cento. Infine, la capacità della Cina di innovare aumenta di continuo, grazie al capitale umano in rapido miglioramento e ai sempre maggiori investimenti nella ricerca e nello sviluppo.
Sulla base di questi trend - e dando per scontato un tasso continuo di partecipazione della forza lavoro - il tasso di crescita potenziale della Cina nel prossimo decennio quasi certamente si aggirerà intorno al 6,9-7,6 per cento, con una media del 7,27 per cento.
Yao Yang è preside della National School of Development e direttore del China Center for Economic Research all'Università di Pechino.
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